Davanti alle menzogne dette per coprire i due autori di un omicidio il pm chiese per il testimone la trasmissione degli atti per procedere per falsa testimonianza: ora per Pasquale Romito, venditore ambulante del quartiere Zen, è arrivato il rinvio a giudizio. Il delitto venne commesso in strada il 9 marzo del 2015. La vittima, Franco Mazzè, pregiudicato, venne ucciso a colpi di pistola. La Procura – l’inchiesta venne coordinata dal pm Gery Ferrara – risalì ai due killer: Fabio Chianchiano e Stefano Biondo che, l’anno scorso, sono stati condannati ciascuno a 30 anni di carcere.
Romito, citato dalle difese, in aula, davanti al gup, sostenne che la vittima aveva fatto fuoco per prima contro Chianchiano che – sempre secondo la deposizione – aveva sparato di rimando. Una menzogna, detta per scagionare l’imputato, che contrastava nettamente con quanto riferito dall’ambulante ai familiari del morto. Il teste era stato nel frattempo intercettato dalla polizia. Alla moglie di Mazzè l’uomo, non sapendo di essere ‘ascoltato’, aveva detto, riferendosi a Chianchiano, «lui era sceso per ammazzarlo». Per la Procura, che ha chiesto e ottenuto il giudizio, una palese falsa testimonianza.
Il delitto sarebbe stato determinato dalla violenta lite scoppiata tra Fabio Chianchiano e uno dei nove fratelli di Mazzè, in un bar dello Zen. Le telecamere del locale ripresero la scena. Qualche ora dopo Mazzè fu affiancato da un’auto blu con due persone a bordo che scesero e gli spararono. Un’esecuzione in piena regola. La vittima fu colpita alla testa e il proiettile gli trapassò il cranio, ma non morì subito. Casualmente passò un’ambulanza chiamata dai familiari di un anziano che si era sentito male. Il mezzo venne fermato e Mazzè fu soccorso, ma morì all’ospedale. Qualche ora dopo due uomini col volto coperto da un cappuccio – per gli inquirenti anche in questo caso Chianchiano e Biondo – si presentarono a casa di Moceo, legatissimo a Mazzé, e spararono contro la sua abitazione.
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