L’omicidio di Felice Orlando, ucciso nella macelleria Vetrano allo Zen 2 il 17 novembre 1999, ha finalmente un colpevole dopo oltre 20 anni. La seconda sezione della corte d’assise di Palermo ha condannato all’ergastolo Gaspare Di Maggio, di Torretta, e Vincenzo Pipitone, di Carini, accusati di aver fatto parte del commando di killer mandato da Cosa nostra per punire la vittima. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, infatti, Orlando avrebbe dovuto scontare il fatto di aver tentato una scalata criminale all’interno del quartiere palermitano. Finendo per pestare i piedi ai vertici del clan, gli allora latitanti fratelli Salvatore e Sandro Lo Piccolo, boss di Tommaso Natale.
Ad assistere al delitto, quel giorno, c’è una nipote della vittima, all’epoca poco più che ventenne, che lavora dietro la cassa: «Mio zio era arrivato da pochissimo quel pomeriggio, intorno alle 18.15-18.30, l’omicidio è stato intorno alle 18.45 circa, ricordo che ho chiamato tante volte la polizia, non arrivò subito – aveva raccontato un anno fa durante il processo -. Di fronte alla porta d’ingresso della macelleria c’era la cassa con un banchetto di cemento, sotto al quale mi sono nascosta subito». La ragazza cerca di proteggersi come può. «Sono entrate due persone, una ha superato la porta, l’altra è rimasta fuori sull’uscio. All’inizio dalla porta a vetri sembravano solo due clienti, ma quello che è entrato aveva in mano una pistola. Mio zio era di spalle rispetto all’ingresso, stava parlando col banconista. Quello che è entrato lo ha chiamato per nome, lui ha girato solo la testa, poi si è girato verso di me, e sono partiti i colpi, alcuni mi sono anche passati sopra la testa».
In quel momento, dentro alla macelleria Vetrano, che la vittima aveva da poco preso in gestione, c’è anche il banconista: «Davanti a me c’era Felice Orlando, che era arrivato da poco, mi aveva chiesto di affettargli un po’ di porchetta che si sarebbe portato via – ha ricordato anche lui in aula -. Io ho sentito solamente i botti, tre-quattro, e poi mi sono abbassato sotto il banco, pensavo fossero petardi, mi sono spaventato». Vede i killer uscire dalla macelleria e dileguarsi subito a piedi. «Felice non ha gridato, l’unico rumore è stato solo quello dei botti, non saprei dire in quanti hanno sparato, forse tutti e due perché ho sentito assai botti. Quel giorno non ci sarei neppure dovuto essere in macelleria, due giorni prima era morta mia madre».
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