Non solo Pogliese. L’annus horribilis di Catania Dall’Università al sindaco: alla sbarra c’è la città

La storia racconta di una città ridotta in macerie. Insabbiata nel profondo rosso dei debiti e inguaiata dalle continue inchieste. Bloccata dai ricordi dei tempi che furono e dai continui slogan di cambiamento. Bisognerebbe invece fermarsi al presente. Guardarsi attorno e interrogarsi. La condanna per peculato del sindaco Salvo Pogliese è solo l’ultimo pezzo di un puzzle. Troppo facile prendersela con la sua «scelta d’amore per Catania». Tutti sapevano che tentare la corsa a Palazzo degli elefanti con il fardello di un processo avrebbe comportato dei rischi, ma i catanesi a giugno 2018 hanno scelto. Forse inconsapevoli del pericolo di ritrovarsi senza una guida nel momento economicamente più difficile per la città. 

Da ieri, in un tipico pomeriggio di afa insopportabile, c’è stato un risveglio generale. Tutti pronti a sguainare l’arma della richiesta di un passo indietro. Dimettersi e tornare al voto per dare alla città un’alternativa. Una di queste, durante l’ultima chiamata alle urne, è stata Enzo Bianco. Il sindaco della primavera che ieri, per uno strano incrocio di date, era imputato insieme a tutti gli assessori nominati dal 2013 al 2018 nel processo per danno erariale al Comune di Catania. Per conoscere la decisione dei giudici della Corte dei conti però bisognerà attendere settembre. L’ex ministro degli Interni, sulla condanna in primo grado del suo successore, ha scelto il silenzio. 

Meno attendista il fronte di Italia Viva, il partito dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. A commentare il caso Pogliese ci ha pensato Puccio La Rosa che del sindaco un tempo è stato addirittura compagno di partito. Altri tempi, altri colori. Il primo cittadino adesso viene bollato come «irresponsabile» per avere deciso di candidarsi nonostante il processo. Nel 2018 La Rosa era già passato con il deputato regionale Luca Sammartino: anche lui catanese e come tanti in questa città in attesa di capire il suo destino nell’inchiesta in cui è indagato per corruzione elettorale. Ma ieri non era solo il giorno di Pogliese, Bianco e del nuovo Calcio Catania. Nell’agenda era segnata anche l’udienza d’appello dell’interminabile vicenda processuale dell’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo. Pure lui come gli altri in attesa. 

«Dimissioni». Le chiede pure Angelo Villari, il nuovo segretario del Partito democratico. Nemmeno il tempo di insediarsi e il suo nome è finito nelle discussioni di alcuni malacarne della mafia di Mascalucia. L’ex segretario della Cgil però non è indagato in questa storia. Si ritrova invece alla sbarra con Enzo Bianco, di cui è stato assessore, per il dissesto del Comune di Catania. A lui la procura contabile ha chiesto di restituire quasi 90mila euro

Ma in questa città la politica è solo una parte delle fondamenta ammalorate. Per anni Catania è stata una sorta di Repubblica autonoma in cui, come affermato senza giri di parole dal procuratore Carmelo Zuccaro, alcuni reati non venivano perseguiti dai magistrati di piazza Giovanni Verga. Ricordi dei tempi che furono. Sono nati colossi imprenditoriali e i miti di chi si è fatto da solo. I self made man però si sono squagliati come neve al sole. Nino Pulvirenti ieri, in un 23 luglio 2020 che entrerà nella storia, ha terminato l’esperienza al timone del Calcio Catania dopo 16 anni. Alla nuova proprietà – ma senza il commercialista Antonio Paladino – ha lasciato una nave in balia dei debiti. Per Pulvirenti restano un processo e un’inchiesta per bancarotta fraudolenta e il carico morale e giudiziario di quegli «stamu abbulannu» senza paracadute. In questo anno orribile non bisogna dimenticarsi del mega affare rifiuti, dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo e di chi ha da poco fatto il compleanno come l’inchiesta Università bandita. Giusto per ricordarci che la condanna di Pogliese è solo uno dei problemi della città. 

Dario De Luca

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