Non ottiene giustizia dopo quattro sentenze a favore Il calvario di un ex benzinaio dell’impero Pappalardo

Il 1998 è cominciato da pochi giorni ma per Francesco Andronico quello non sarà un anno come gli altri. L’azienda per cui lavora, amministrata dai fratelli Sebastiano e Orazio Romeo, lo mette alla porta. Invitandolo, insieme a un collega, a non presentarsi più a lavoro dopo che i due avrebbero avuto una discussione animata. Per Andronico non c’è un licenziamento formale ma da quel giorno si chiuderà per sempre la sua esperienza da addetto alle pompe di benzina della Sepoil, una delle società del cavaliere Sebastiano Pappalardo, noto per essere stato il fondatore della Sp Energia Siciliana, tra le aziende leader in Italia nella distribuzione di carburante e oggi in mano al nipote Orazio Romeo

Per Andronico il 1998 è l’inizio di un calvario giudiziario che dopo 21 anni non si è ancora concluso, nonostante quattro sentenze abbiano attestato l’illegittimità di quel licenziamento e il pagamento delle retribuzioni non percepite. Un esborso da circa 200mila euro per l’azienda. Ma il caso, risucchiato da burocrazia e fallimenti societari, intanto ha perso uno dei principali protagonisti. Perché l’ex operaio nel 2007 è stato portato via da un male incurabile e, comunque vada a finire, non potrà mai leggere i titoli di coda del suo caso. 

A portare avanti la battaglia adesso ci sono i suoi tre figli: Giovanni, Agata e Caterina. Forti di quattro sentenze favorevoli ma mai concretamente applicate. La prima risale al 2000, due anni dopo il licenziamento. In quel caso a pronunciarsi fu il giudice del lavoro del tribunale di Belpasso Gianfranco Todaro. «Riammissione in servizio e pagamento delle retribuzioni», stabiliva nelle motivazioni. Smontando anche la tesi difensiva dell’azienda secondo cui Andronico in realtà si fosse dimesso. Si arriva così fino al biennio 2004/2005, quando prima la corte d’Appello e poi la Cassazione confermano il primo giudizio. 

L’andazzo però rimane lo stesso e, trascorso un anno dalla sua morte, la famiglia propone un’istanza di fallimento nei confronti dell’azienda che avrebbe dovuto reintegrare l’operaio. Ma i titolari di Sepoil, proprio in quel periodo, decidono di cessare l’attività, mettendo l’azienda in liquidazione. L’istanza della famiglia, quindi, non si concretizza e in questa storia si aggiunge un particolare. Nel 2008 la società presenta come garanzia un libretto a deposito con delega di pagamento di 175mila euro in favore degli eredi dell’ex lavoratore. Una somma leggermente inferiore rispetto ai 203mila euro riconosciuti nelle sentenze. Eppure, cominciato il procedimento esecutivo, nelle casse della società vengono trovati appena 929 euro

Dove sono finiti i soldi indicati come garanzia? Una domanda che non ha una risposta. Di certo c’è solo che il fallimento della società si concretizza nell’aprile 2017, come disposto da una sentenza del tribunale di Catania. Per l’impero Pappalardo non ci sono scossoni particolari e allo stesso indirizzo di Sepoil, dove ha sede anche Sp Energia Siciliana, nel 2012 nasce la Servizi Integrati. Azienda, quest’ultima, specializzata nella gestione di impianti di carburanti, e di proprietà, stando alle visure camerali, per il 52 per cento di Romeo. 

Intanto Sepoil rimane con le briciole: «L’attivo acquisito è di 170 euro sulla base dell’ultimo stato patrimoniale», si legge nel documento firmato dall’avvocata Maria Cristina Grassi, curatrice fallimentare. Per gli eredi dell’operaio si è rivelata infruttuosa anche la strada della giustizia penale, con un fascicolo finito subito archiviato senza l’apertura di un’inchiesta. Al momento l’unica strada aperta è quella della responsabilità civile. Con una causa avviata dalla curatice fallimentare nei confronti di Romeo e di due ex liquidatori: Concetto Morabito ed Enzo Di Carlo. Attendendo i lunghi tempi della giustizia civile l’ultima novità è il sequestro conservativo di un immobile. 

Dario De Luca

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