NEW YORK – Non c’era mai successo di intervistare un leader della comunità italoamericana più giovane dell’intervistatore. Ora, è vero che gli anni passano anche per il giornalista, ma anche se avessimo avuto 47 anni già dieci anni fa, non avremmo mai potuto immaginare di conversare con un componente della leadership della National Italian American Foundation di venti anni più giovane!
L’organizzazione più importante degli italiani in America ha infatti nominato lo scorso febbraio suo “Chief Operating Officer” John Viola, 28enne (foto a sinistra con la fidanzata) nato a Brooklyn da genitori con famiglie originarie della Campania e della Sicilia, con l’incarico cioè di rilanciare e preparare la fondazione degli italoamericani con sede a Washington alle nuove sfide del XXI secolo.
Che John Viola stia alla Niaf come il sindaco di Firenze Matteo Renzi al Partito democratico di Bersani? No, non esageriamo. Non è proprio un “rottamatore” il giovane Viola, anzi è molto riconoscente verso chi lo ha portato alla Niaf e ci tine a ribadirlo.
“Sapevo -ci dice -che stavo per aver l’opportunità di arrivare alla Niaf al momento giusto. Joe Del Raso (il Presidente Niaf, ndr) è stato il mio mentor per molto tempo, quindi avere l’opportunitá di lavorare insieme per una organizzazione a cui entrambi teniamo moltissimo, era troppo bella per lasciarsela scappare”.
Già, John Viola non farà nessuna “rivoluzione” alla Niaf, però è stato sicuramente chiamato per imporre una nuova “vision”, una più fresca e moderna per cercare di infondere all’organizzazione piú ¨autorevole degli italiani d’America una nuova strategia per contare di piú e non solo a Washington.
L’appuntamento con John Viola l’abbiamo a Brooklyn, da “Ferdinando’s”, l’antica rosticceria palermitana su Union Street. Col giovane manager beviamo caffé freddo e stuzzichiamo panelle calde buone come quelle di Mondello, mentre cerchiamo di capire cosa questo giovane italoamericano intenderà fare per la Niaf e per gli interessi della comunitá italiana in America.
Viola è nato 28 anni fa a Brooklyn, “a Williamsburg, all’angolo tra Frost St and Graham Ave” ci dice con una punta di orgoglio. Dopo pochissimi anni, la famiglia si trasferisce a Chatham, New Jersey, dove John è cresciuto con il padre Vincent Viola, la madre Teresa D’Angelo, e i due fratelli più piccoli Michael e Trevis. (foto a sinista: Frank Sinatra tratta daincontromeditaly.wordpress.com)
“A Chatham mi mancavano gli italiani di Brooklyn, dove comunque tornavamo sempre. Infatti lì a Williamsburg ci vivevano i nonni e poi non mancavamo mai alla festa della Madonna della Neve e del Giglio”.
La famiglia dalla parte del padre è orginaria di Sanza in provincia di Salerno. Dalla parte della madre, il nonno Michele veniva da Palermo, la nonna da Pallo del Colle (Bari).
Il padre di John, Vincent Viola, è un businessman di successo, che ha realizzato una fortuna nel mondo della finanza lavorando a Wall Street. Ma la famiglia di John non ha origini agiate ed è solo dopo tanti sacrifici, studi e lavoro che Vincent raggiunge il successo e la ricchezza, e questo dopo essersi sposato con Teresa.
Dopo la laurea alla Fordham University (studi di sociologia e antropologia), John torna a Brooklyn per prendersi cura anche della casa in cui abitava la nonna Vincenza Viola.
Lì il giovane Viola inizia una fondazione no-profit per l’istruzione nelle scuole cattoliche e pubbliche con cui organizza itinerari culturali a Brooklyn. Successivamente, con la famiglia, fonda una scuola privata cattolica a Bushwick (la Pope John Paul II Family Academy) per le famiglie cattoliche che hanno bisogno di un aiuto finanziario.
La prima volta in Italia John ci andrà a 11 anni e la prima città che vede è Venezia. Da quel momento ci torna ogni anno, soprattutto al Sud. John adesso vive tra Washington e New York, dove ha una fidanzata, Nicole Di Bona, anche lei di origini italiane. (foto sopra tratta da mondoliberonline.it)
Quella che vi proponiamo non è una vera e propria intervista, fatta di domande e risposte. Con John Viola c’è stata più una conversazione che ci ha così stupito che pensiamo meriti ampio spazio. Qui riportiamo i punti toccati dal giovane manager più emblematici della sua “vision” per la Niaf e tutta la comunità.
Viola si scrolla subito di dosso la mentalità del “compiangersi addosso” e tira fuori l’orgoglio di chi si sente in cima alla scala sociale americana:
“Il vecchio modo di pensare alla comunità non funziona più. Ormai la comunità italoamericana ha raggiunto qualunque risultato possibile in questo Paese, nelle arti come nello spettacolo, in economia come nella scienza, nello sport come nell’accademia e certamente anche in politica. Poi noi non votiamo come un gruppo compatto e questo è un vantaggio, prova la nostra maturità, perché significa che noi italiani d’America non seguiamo le ideologie”.
John mentre parla ci sembra guidato dai sentimenti ma anche da rigorosi studi, che lo hanno preparato al difficile incarico. (A sinistra foto di Mario Cuomo tratta da www1.ccny.cuny.edu)
“Le vecchie storie che saremmo tutti figli di un familismo amorale’ non mi hanno mai convinto – dice -. Il sociologo Banfield ha preso un abbaglio. Non bisogna credere a quella vecchia storia, noi italiani d’America invece abbiamo dimostrato un grande civismo. Noi sappiamo benissimo come essere coinvolti nella società. Noi potremmo essere da esempio anche per l’Italia su cosa gli italiani siano in grado di realizzare quando sono messi nelle condizioni di poter esprimersi e operare al meglio delle loro potenzialità. Noi italoamericani siamo il modello giusto da imitare per avere successo in questo Paese”.
John Viola porta e vuol dare alla Niaf anche una visione globale dell’italianità nel mondo.
“Per questo penso che la Niaf non debba più svolgere il ruolo di advocacy group’, ma la Niaf semmai ci serve ad aprire nuove opportunità tra l’Italia e gli Usa. Siamo ormai in un mondo globale e noi dall’America possiamo aiutare l’Italia a competerci meglio dentro. Pensate quanto sono importanti per alcuni Paesi le loro diaspore, penso ai cinesi e ai network che creano nel mondo. Noi possiamo fare lo stesso”.
Ci sono sessanta milioni di Italiani in Italia – ci dice John – ma c’è una diaspora fuori dall’Italia di oltre 200 milioni. La
cittadinanza non è più legata alla geografia. Pensate alla nuova Fiat 500, io ne ho subito comprata una. E chissà quanti altri come me in America e nel mondo lo faranno. Perché qui si tratta di riconoscere l’italianità e noi siamo gli ambasciatori di quel brand’. E’ un obiettivo molto ambizioso trasformare la Niaf una istituzione globale. Io ho la visione per farlo, anche se devo avere un po’ di tempo, Roma non fu fatta in pochi giorni… La Niaf deve continuare a fare tutto le cose giuste che faceva già ma allo stesso tempo deve essere più globale nei suoi scopi”.
Viola rispetta il lavoro dei diplomatici italiani negli Usa, ha però per loro anche qualche consiglio importante.
“Certo, l’Italia ha le sue ambasciate nel mondo che fanno un lavoro prezioso nel promuovere questo brand coinvolgendo anche la comunità italoamericana. Noi rappresentiamo un’aggiunta importante nella promozione dell’Italia. Ho però un consiglio da dare alla diplomazia italiana: non ci coinvolgete soltanto come mezzo per entrare negli Stati Uniti. Coinvolgeteci anche come italiani. Voglio dire non ci trattate come una semplice opportunità per il mercato dei prodotti italiani, ma includeteci come persone che sono parte integrante dell’italianità e che vogliono lavorare tutti insieme per dare grandi vantaggi all’Italia”.
Italianità, una parola che ripete spesso Viola. La spiega così. “L’Italianità – afferma – è convincente. Ma cosa significa essere italiani? Per me è uno stato mentale. Ci sono venti regioni con questo stato mentale dove si esprime in forme diverse e quindi almeno ci sono altri venti Paesi nel mondo dove questo stato mentale esiste, magari sotto altre forme ma tutte insieme fanno parte dello stesso mosaico italiano. Noi siamo parte dell’italianità che arricchisce il mondo”. (A sinistra, foto tratta dabombacarta.com)
Viola sembra conoscere bene le problematiche sociali italiane e per qualcuna la soluzione la trova col discorso dell’italianità fatto precedentemente.
“Parliamoci chiaro, c’è un enorme elefante nella stanza dell’italianità: è il tasso di natalità degli italiani in Italia, uno dei più bassi al mondo. L’Italia deve fare qualcosa per migliorarlo. Eppure l’Italianità nel mondo continuerà a crescere, perché noi siamo già oltre duecento milioni e continuiamo a espanderci”.
Diciamo a Viola che, per sentirsi italiani, bisognerebbe anche conoscere meglio la lingua italiana. Il giovane dirigente della Niaf capisce al volo dove vogliamo arrivare e non ci fa nemmeno finire e replica subito.
“Certo, il discorso sulla lingua é importantissimo e capisco certi rimproveri che gli italiani fanno agli italo americani per aver dimenticato la loro lingua. Ma sappiamo come avvenne. Durante la Seconda Guerra Mondiale gli italoamericani furono obbligati a rinunciare alla loro lingua, considerata la lingua del nemico. La prima lingua di mia nonna era il napoletano, ma si rifiutava di parlarlo in pubblico. Le avevano detto che non doveva mai più farlo in America. Così i suoi figli non parlano italiano, ma i suoi nipoti invece vogliono recuperare quella lingua. Il recupero della lingua italiana è importantissimo e fa parte di una doppia strategia, culturale e utilitaristica. Dobbiamo prendere ad esempio dai greci, che non hanno mai abbandonato in America la loro lingua”.
Ed ecco la soluzione indicata per riappropiarsi della lingua dei nonni. (A destra, foto tratta da iicbucarest.esteri.it)
“Per far riparlare italiano agli italoamericani, i genitori devono essere più coinvolti. Bisogna cambiare mentalità, trasformare i rami in un albero ed essere veramente connessi. Conoscere la lingua serve anche alle opportunità di business che si possono fare in Italia. E poi ci sono gli exchange program, perché per avere una vera padronanza della lingua italiana si deve far trascorrere più tempo ai propri figli in Italia. E viceversa, i ragazzi italiani possono venire qui da noi per imparare l’inglese . Siamo già geneticamente pronti per la nostra lingua che tornerebbe subito ad essere parte della vita delle nostre famiglie. E ovviamente anche organizzazioni come la Lago del Bosco, portata avanti dalla famiglia Cuomo, sono importantissime per far parlare la lingua italiana ai nostri ragazzi qui megli Stati Uniti. Comunque, la lamentela italiana che noi italoamericani non abbiamo preservato l’italiano é fondata e dobbiamo quindi darci da fare per recuperarla. Perché la lingua rimane la fonte della nostra identità”.
La comunità italiana in America non è stata sempre unita, anzi…
“Per la Niaf i rapporti con l’Osia, l’Unico e altre importanti organizzazioni italoamericane sono fondamentali e infatti John Calvelli sta facendo un importante e ottimo lavoro per cercare di coordinare il nostro lavoro con queste organizzazioni. Allo stesso tempo, come accade in Italia dove si hanno centinaia di partiti, è uno nostro difetto disperderci in troppi gruppi, in troppe fazioni. Comunque la Niaf nella conferenza dei presidenti di tutte le organizzazioni italoamericane ha dimostrato che si può dialogare bene e lavorare tutti insieme per il bene della comunità”.
Ad un certo punto della conversazione, dopo aver gustato l’ultima buonissima panella, ecco che sbattiamo sul tavolo la mafia e le reazioni del passato delle organizzazioni italoamericane contro Hollywood e lo showbusiness che non smetterebbe di rappresentare gli italoamericani in un certo modo. Ecco un altro esempio su come John Viola mostri di possedere una “vision” a nostro parere più al passo coi tempi.
“L’annosa questione dei Soprano’s e dell’anti-diffamazione? Io rispetto molto quello che the Italian American One Voice Coalition fa per difendere gli italoamericani dalla diffamazione e dagli stereotipi. Detto questo, la missione della Niaf non è questa. Noi abbiamo una strategia diversa, anche se siamo tutti uniti dalla passione di quello che si può fare. L’unione fa la forza, è vero. Ma la Niaf ha anche ben altro a cui pensare. Su queste questioni, infatti, quando ci alziamo in armi senza cercare prima un dialogo, facciamo un disservizio. Dobbiamo essere più coinvolti e aperti alla discussione, su ogni questione. Nel non voler parlare di una cosa, noi neghiamo l’importanza di poter parlare su tutto. Io vedo che la storia delle altre comunità, come quella ebraica, è raccontata in tutti i suoi aspetti. Noi possiamo benissimo fare lo stesso, e collaborare con chi vuol raccontare con accuratezza e in modo complessivo l’esperienza degli italiani in America, comprese le nostre pecore nere”.
Ed ecco la strategia che Viola vuol far seguire alla Niaf.
“Il ruolo naturale della Niaf è quello di dedicarsi più a promuovere qualcosa che a lottare contro qualcuno. Non credo che dovremmo zittirci quando qualcosa non va, ma dobbiamo essere più riflessivi e soprattutto continuare a concentrarci su tutto ciò di positivo che abbiamo da promuovere. Con questo non voglio dire che le generazioni passate abbiano commesso un errore nel reagire contro le discriminazioni e le diffamazioni. Io capisco che per molte generazioni di italoamericani sia stato difficile farcela nonostante tante avversità e pregiudizi, e che una volta raggiunto il successo, è naturale che molte di queste generazioni siano rimaste sensibili a certe difficoltà incontrate e che abbiano cercato in tutti i modi di proteggere i loro figli e nipoti. Ma adesso il compito delle generazioni più giovani è sinceramente molto più facile, siamo totalmente integrati e, come ho detto all’inizio, siamo ormai parte di questa societá americana e del suo successo”.
Per John Viola la distribuzione di scholarship resta uno degli scopi principali della Niaf, ma il giovane manager italoamericano espande scopi e strategie per raggiungerli.
“Le borse di studio devono rimanere gli obiettivi principali dove concentrare il lavoro e le risorse di una organizzazione come la Niaf. Dobbiamo quindi continuare ad espanderci su questo fronte. Va benissimo quello che abbiamo fatto finora, dare delle scholarship agli studenti più meritevoli, ma ora dobbiamo fare un salto di qualità e dobbiamo anche avviare l’inserimento di questi giovani nel mondo del lavoro. Quindi dobbiamo essere organizzatori e promotori di internship per facilitare l’entrata. Dobbiamo sfruttare per questo la rete di italoamericani ormai ovunque nel mondo imprenditoriale e del business, così come in quello accademico. Forse sembrerò un po’ estremo, ma io voglio che gli italoamericani di successo comincino a scegliere di più giovani italoamericani per certi posti di lavoro per dargli una chance di ripetere il loro successo”. (A sinistra e in prima pagina foto tratta da specialart.it)
Quello che ci colpisce di più nella conversazione con John Viola è il modo di guardare al futuro cercando nella storia della comunità italiana d’America le formule per le iniziative da adattare al presente.
“Dobbiamo pensare che per la Niaf le borse di studio e le internship dovranno essere come sono state le società di mutuo soccorso per i nostri nonni e bisnonni al loro arrivo negli Stati Uniti. Queste società oltre cento anni fa agli emigranti appena arrivati trovavano un posto dove alloggiare, un posto di lavoro, la scuola per i figli… Tutti si aiutavano a vicenda per farcela. Lo stesso deve fare la Niaf, promuovere questo spirito di solidarietà tra gli italoamericani e adattarlo al XXI secolo”.
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