No alle trivelle di Renzi: un altro ribelle  in casa Pd Ferrandelli presenta una petizione popolare

Un ordine del giorno per impegnare il Presidente della Regione, ai sensi dell’Articolo 30 dello Statuto della Regione Siciliana, ad impugnare presso la Corte Costituzionale l’articolo 38 del decreto Sblocca Italia, che dà il via libera alle trivellazioni selvagge nel Canale di Sicilia. A presentarlo è il deputato regionale del Pd, Fabrizio Ferrandelli.

Non solo Franco Piro, dunque, dirigente di questo partito ed esponente storico della sinistra siciliana, che senza se e senza ma, si è schierato contro. A quanto pare, le trivelle di Renzi, stanno smuovendo le coscienze anche di qualche giovane esponente di questo partito. 

Lo stesso non è successo a Roma, a dire il vero, dove, anche i più giovani deputati democratici eletti in Sicilia, al massimo sono usciti dall’Aula, ma non hanno avuto il coraggio di dire no al decreto Sblocca Italia (qui tutti i nomi dei deputati eletti in Sicilia che hanno votato a favore e di quei pochi che hanno votato contro). 

All’ordine del giorno, che verrà depositato lunedì all’Ars, seguirà una petizione popolare il cui obiettivo è raccogliere un milione di firme per dire no «a una politica energetica improntata ancora una volta all’incremento dell’uso dei combustibili fossili, piuttosto che alla sua contrazione per ridurre i gas serra, alla implementazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, alla conversione delle modalità di trasporto nell’isola, fortemente concentrate sulla gomma, e sui carburanti fossili, verso una mobilità sostenibile. Tutte cose che, come è dimostrato da molteplici esperienze nel mondo, sono in grado di determinare uno sviluppo delle attività produttive e della occupazione ben maggiori del petrolio».

Se tutte queste attività si concretizzassero – dice Ferrandelli – l’isola sarebbe ricoperta e circondata da pozzi e trivelle. Uno scenario che comprometterebbe l’enorme patrimonio ambientale, naturalistico, archeologico, architettonico, paesaggistico della Sicilia

«Il territorio siciliano – scrive Ferrandelli – è interessato da tempo da una intensa attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi. Attualmente sono in attività cinque impianti per complessivi 78 pozzi da cui nel 2013 sono state estratte 714.223 tonnellate di greggio che rappresentano il 15% della produzione nazionale su terraferma. Risultano essere stati rilasciati ben 14 concessioni di attivazione e 5 permessi di ricerca, mentre risultano essere state presentate 11 istanze per il rilascio di permessi di ricerca e 3 istanze per concessioni di coltivazione».

«Nel mare che circonda l’isola – continua – in atto sono attive 3 concessioni di coltivazione per 5 piattaforme e 34 pozzi da cui nel 2013 sono state estratte 301.471 tonnellate di greggio che rappresentano il 41% della produzione italiana in mare. Risultano essere state presentate 3 istanze di concessione di coltivazione, risultano essere stati rilasciati 5 permessi di ricerca e risultano presentate 12 richieste per permessi di ricerca.

Se tutte queste attività si concretizzassero – dice Ferrandelli – l’isola sarebbe ricoperta e circondata da pozzi e trivelle. Uno scenario che comprometterebbe l’enorme patrimonio ambientale, naturalistico, archeologico, architettonico, paesaggistico che la Sicilia possiede e che, già compromesso da anni di incuria, inquinamento e speculazione edilizia, sarebbe ulteriormente e particolarmente minacciato. L’ estrazione di greggio, infatti, è un processo altamente inquinante: per raggiungere il giacimento le trivelle utilizzano sostanze chimiche dette ‘fanghi e fluidi perforanti’ necessari per eliminare gli strati rocciosi e consolidare il foro di perforazione; nei pozzi petroliferi off-shore si usano dei fanghi costituiti da oli sintetici con un certo grado di tossicità. Tali fluidi sono difficili e costosi da smaltire ed hanno la capacità di contaminare le acque».

Per quanto concerne l’impugnativa presso la Corte Costituzionale il deputato del Pd, fa notare che la Conferenza delle Regioni ha assunto una forte posizione nei confronti dell’articolo 38, richiedendo a governo e Parlamento una sostanziale riforma del testo in considerazione che esso viola l’articolo 117, comma 3, della Costituzione che annovera la materia ‘produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia’ (nella quale devono ricomprendersi anche quelle relative agli idrocarburi liquidi e gassosi), tra le materie di legislazione concorrente, ripartendone la legislazione tra lo Stato, chiamato a stabilirne i principi fondamentali, e le Regioni che invece hanno competenza a dettarne la concreta disciplina nel rispetto degli stessi principi.

Ed infine, conclude Ferrandelli «Lo Statuto speciale della Regione Siciliana stabilisce al comma 2 dell’articolo 33 che fanno parte del patrimonio indisponibile della Regione, tra l’altro, le miniere, le cave e le torbiere; all’articolo 14 lettera h) stabilisce che l’Assemblea Regionale Siciliana ha competenza legislativa esclusiva sulle miniere, sulle cave, sulle torbiere e sulle saline. E nella dizione “miniere” è ricompresa la materia relativa alla prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi. Ed infatti l’Assemblea Regionale Siciliana ha più volte emanato leggi che disciplinano il settore e per ultimo con la legge regionale 14/2000 tuttora vigente, mentre le competenze amministrative nel settore sono state esercitate fin qui da uffici della Amministrazione regionale.

Redazione

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