«Non sono riuscite a fermarci le intimidazioni mafiose e ci ferma una legge dello Stato». A dirlo è Pino Maniaci, direttore di Telejato, piccola emittente con sede a Partinico, in provincia di Palermo, famosa per l’impegno costante di contrasto alla mafia sul territorio. A fine giugno 2012, infatti, il passaggio al digitale terrestre costringerà la tv più piccola del mondo a chiudere i battenti. «Non ci è stato concesso di fare domanda, i termini scadevano proprio oggi», racconta il giornalista in un video pubblicato ieri su RadioBici. Il motivo lo spiega lo stesso Maniaci: «Le cosidette onlus, le televisioni che non fanno affari, con bilancio a zero, devono chiudere. Per loro non è previsto il passaggio. In Italia non chiude solo Telejato, ma circa 200 emittenti».
Maniaci racconta di cosa significa fare il giornalista antimafia in Sicilia e, a vent’anni dalle stragi mafiose in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ricorda che da allora «E’ cambiato tantissimo. Il fatto che io sia vivo già la dice lunga». Ad essere cambiata, secondo il giornalista, è la mentalità dei giovani siciliani: «Da quel momento sono cominciati a nascere gli anticorpi: le associazioni antimafia, i ragazzi di Addiopizzo, Libero Futuro. Quel dire no alla mafia pubblicamente che le ha fatto perdere terreno». Ma la criminalità organizzata esiste ancora, forte di una «saldatura con il potere politico», afferma. Anche se, da Roma in su, si fa ancora fatica ad accettare che Cosa Nostra non è un fenomeno solo siciliano: «Come fai a spiegare la cultura mafiosa ad un ragazzo che viene da Trieste, Firenze, Torino? E’ una mentalità lontanissima dalla loro. Ormai il problema della mafie è un problema di tutti, perché è emigrata al Nord, insieme a tutto quello che di illecito c’è qui da noi».
[Video di RadioBici]
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