Nessun funerale in chiesa per il capo dei capi. «Con la morte di Totò Riina è finito il delirio di onnipotenza del capo dei capi di cosa nostra, ma la mafia non è stata sconfitta e quindi non bisogna abbassare la guardia – lo ha detto Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale -. Il compito della Chiesa è quello di educare le coscienze alla giustizia e alla legalità e di contrastare la mentalità mafiosa». Al momento l’arcivescovo si trova in visita pastorale a San Cipirello. Da lì fa sapere che «ancora non ho informazioni se e quando la salma di Riina sarà trasferita a Corleone. Trattandosi di un peccatore non si potranno fare funerali pubblici. Ove i familiari lo chiedessero si valuterà di fare una preghiera privata al cimitero». Queste le parole del religioso ma ancora la questura non si è pronunciata ufficialmente anche se, come è successo in passato, è quasi certo che saranno proibiti i funerali pubblici.
La stessa cosa infatti era già successa a luglio dell’anno scorso con i funerali del boss corleonese Bernardo Provenzano. In quell’occasione monsignor Pennisi annunciò che il cappellano del cimitero di Corleone o un altro sacerdote avrebbe benedetto il feretro e che ci sarebbe un momento di preghiera: «Una preghiera non si può negare a nessuno e non può essere proibita dal questore», aveva detto l’arcivescovo. In quell’occasione Pennisi aveva anche spiegato che «Il divieto dei funerali pubblici è un modo per evitare l’esaltazione del defunto, perché in questi casi le esequie spesso si trasformano in una messinscena finalizzata o a celebrare o a, al contrario, a demonizzare. In entrambi i casi non c’è nessuna valenza religiosa, casomai solo sociale. A Corleone ci sono mafiosi ma anche tanti cittadini onesti che non meritano di essere marchiati come mafiosi e si sentiranno più liberi».
In occasione della morte di Luciano Liggio nel 1993 invece le esequie erano state vietate dall’allora questore di Palermo Aldo Gianni, dopo che aveva saputo che la cerimonia funebre si sarebbe dovuta svolgere nella chiesa di Santa Maria a Corleone. Il divieto è stato esteso a tutta la provincia di Palermo per «motivi di ordine pubblico». All’epoca la cosa aveva creato polemiche da parte della famiglia del boss corleonese che comunque aveva poi affermato di voler rispettare il volere delle autorità.
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