Nel segno di Falcone e Borsellino, 25 anni di Dia «Mafia palermitana resiliente ma senza guida»

Nel 2016 la Direzione Investigativa Antimafia ha ricordato i suoi primi 25 anni di vita. E lo ha fatto nel segno dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nella relazione semestrale che la Dia rende al Ministero dell’Interno e al Parlamento, e che è stata resa pubblica oggi, sotto analisi ci sono le attività svolte e i risultati conseguiti nel contrasto alla criminalità organizzata per il periodo che va dall’uno luglio al 31 dicembre 2016. E sono tanti i riferimenti a Cosa nostra siciliana e in special modo a quella palermitana.

«Si rileva come la criminalità organizzata siciliana – si legge nell’incipit della relazione lunga 336 pagine – manifesti ancora una significativa resilienza rispetto alla efficace e sistematica azione di contrasto svolta da forze di polizia e magistratura. Resta prioritaria, specie tra le famiglie palermitane, la questione di dotarsi di un nuovo apparato dirigenziale che soppianti la vecchia ala corleonese in declino e ripristini una guida che funga da raccordo sovra-familiare, idonea a contenere i momenti conflittuali». In mancanza della vecchia cupola, Cosa nostra palermitana avrebbe riconosciuto legittimità ad agire ad un organismo collegiale provvisorio, costituito dai più influenti capi mandamento di Palermo, che decidono di volta in volta e in urgenza una linea comune. L’anomala cupola sarebbe poi costituita soprattutto da ex: reggenti, scarcerati per fine pena o figli d’arte.

Gli investigatori fanno poi il punto della situazione del territorio della provincia palermitana, che risulta suddiviso in 15 mandamenti (otto in città e sette in provincia), composti da 80 famiglie (32 in città e 48 in provincia). «Cosa nostra palermitana – scrive la DIA – permane in uno stato di rimodulazione degli assetti e dei luoghi di influenza. La suddivisione dei mandamenti non è più rigidamente osservata, ma talvolta surrogata da un sistema di referenze territoriali, con compiti di gestione complessiva delle attività criminali di maggiore importanza, e da un ampliamento della competenza d’area delle famiglie operativamente più attive. I confini e le norme circa la competenza su ciascuna area sono interpretate in maniera più flessibile rispetto al passato, comportando anche sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autopromosse, progetti di scissione».

Una mafia dunque certamente più debole e che però non deve essere sottovalutata, capace ancora di influenzare le dinamiche di quartieri e Comuni del palermitano. Il controllo delle piazze di spaccio del capoluogo è ad esempio un settore ancora molto fiorente per Cosa nostra, e sarebbe alla base dei due tentati omicidi avvenuti nel quartiere dello Zen  di Palermo ai danni di due persone con precedenti penali. Nel semestre in questione, inoltre, ben due città sono state colpite dal provvedimento di scioglimento dei consigli comunali, vale a dire Corleone e Palazzo Adriano, «quale conseguenza delle evidenze raccolte nell’ambito dell’operazione Grande Passo 3, in merito al condizionamento mafioso esercitato da alcuni esponenti di Cosa nostra».

Sempre più frequenti e più significativi, poi, i rapporti con le organizzazioni criminali straniere. Lo testimonia ad esempio l’operazione Black Axe «che ha fatto emergere le attività illecite di una vasta organizzazione mafiosa transazionale, dedita all’immigrazione clandestina di cittadini africani, alla gestione della prostituzione e del traffico di sostanze stupefacenti. Si tratta della cellula italiana della nota organizzazione criminale africana Black Axe Confraternity – opposta alla gang degli Eiye – con base in Nigeria e il cui capo zona (head zone) poteva contare su un’articolazione operativa a Palermo, nel popolare quartiere di Ballarò». Tutto avveniva poi «con il consenso di Cosa nostra che, nel caso specifico, avrebbe optato per una strategia non interventista; le famiglie mafiose, difatti, avrebbero mantenuto il controllo delle attività illecite che si svolgono nelle zone di propria competenza, limitandosi ad imporre la propria protezione ai traffici appannaggio dei nigeriani». 

Mentre il traffico di stupefacenti ha consentito di cogliere collegamenti con l’Albania, in un traffico di importazione di marijuana e partecipata, tra gli altri, dal figlio di un affiliato alla famiglia Carollo. Senza dimenticare, infine, l’infiltrazione mafiosa nel settore degli appalti pubblici. A certificarlo l’operazione Bonifica Pasquasia, eseguita ad ottobre dai carabinieri tra le provincie di Enna, Palermo, Catania, Agrigento e Bergamo. Oltre le irregolarità emerse nell’appalto di bonifica dell’omonimo sito minerario dismesso, sono state sequestrate più di 100 tonnellate di amianto.

Andrea Turco

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