Negozi chiusi nei festivi, non solo aziende preoccupate «Per chi lavora, fare la spesa di domenica è necessità»

La scorsa primavera ci aveva provato l’Assemblea regionale siciliana a mettere un freno alle aperture degli esercizi commerciali nei giorni festivi, ma l’emendamento in Finanziaria era stato presto stralciato. Incostituzionale: troppo concreto il rischio che la legge venisse rigettata dalla Corte suprema perché la materia della tutela della concorrenza è di competenza esclusiva dello Stato. Un principio ribadito anche dopo che la Regione Friuli Venezia Giulia nel 2016 aveva approvato una legge in questa direzione. Spetta infatti al Parlamento introdurre nuovi paletti e tornare alla fase precedente alle liberalizzazioni del governo Monti, sette anni fa. E stavolta pare che ci siamo. Il vice premier Luigi Di Maio ha annunciato che «entro l’anno approveremo la legge che impone lo stop nei fine settimana e nei festivi ai centri commerciali. L’orario liberalizzato dal governo Monti sta distruggendo le famiglie italiane. Bisogna ricominciare a disciplinare aperture e chiusure». 

Ma di fronte a uno scenario in cui bisognerà tornare a organizzarsi per fare la spesa durante la settimana, non è solo la Grande distribuzione – che parla di 40-50mila lavoratori a rischio in tutta Italia – a essere preoccupata. «C’è la scuola della bambina, il lavoro. La babysitter certo aiuta, ma ci sono anche le pulizie da fare in giro per casa. E poi i bambini richiedono tempo – spiega Sandra, 34enne palermitana – Per esempio mia figlia dopo un bel tot di ore in cui non ci vediamo, tra la sua scuola e il mio lavoro, ha voglia di stare con la mamma, di guardare un cartone insieme, di dipingere, di giocare col cane. È successo la scorsa settimana, ad esempio: rientrate dalle vacanze, la casa era abbastanza un disastro e il frigo inesorabilmente vuoto. Ma l’intera settimana, tolti i tempi di sonno, lavoro e figlia, mi sono dedicata a rimettere in piedi la casa e il tempo per la spesa non è rimasto». Così ci si arrangia fino alla domenica. «Giovedì sera (l’ultima sera in cui abbiamo mangiato a casa!) la mia cena è stata una scatola di ceci nascosti dietro i pacchetti di cracker nella dispensa. Venerdì abbiamo accomodato dai nonni, sabato a pranzo un pic nic sul prato con due panini comprati in un bar. A cena siamo andate fuori. Domenica alle 18.30 siamo finalmente scese da casa. Alle 19 eravamo al supermercato e abbiamo dovuto lottare per l’ultimo carrello».

Dall’altra parte della Sicilia, Eva, giovane siracusana trasferita a Catania per svolgere la sua attività da libera professionista vive da sola ma affronta problemi simili e allo stesso modo guarda con preoccupazione all’iniziativa del governo Lega-5 stelle: «Quando va bene, esco da lavoro intorno alle 19 – dice – sento la necessità di staccare la spina e rilassarmi, non esattamente in un supermercato dove a quell’ora sei costretto ad affrontare lunghe file dopo una giornata stressante. Non è un capriccio, ma una necessità». Per la trentenne un compromesso potrebbe essere «la chiusura tutti i giorni alle 22».

«Trovo assurdo che con i supermercati aperti dalle nove di mattina alle nove di sera non si trovi il tempo di andare a fare la spesa tra lunedì e sabato», ribatte Valentina Ruffino, dipendente della Coop ed ex rappresentante sindacale. La Coop negli ultimi due anni è stata più attenta a regolare le aperture nei giorni festivi. Nel 2018, ad esempio, sono rimasti chiusi i suoi punti vendita dei centri commerciali catanesi sia il 25 aprile che l’1 maggio. «E prima della fusione con Coop Alleanza 3.0 – aggiunge Ruffino – si è provato anche a studiare una strategia di chiusura su scala provinciale, quindi a volte se noi al Katanè di Gravina stavamo chiusi, rimaneva aperto il supermercato del centro Le Ginestre a Tremestieri». Politica attuata, in passato, anche nelle grandi città come Milano. 

Al momento, non è ancora chiaro quali saranno i paletti introdotti dal nuovo disegno di legge. Le proposte fin qui avanzate dai partiti sono diverse: quella della Lega prevede l’obbligo di chiusura domenicale con soli otto giorni di apertura all’anno nei festivi, regolamentati dalle regioni, ad eccezione delle attività in località turistiche, di montagna e balneari che non avrebbero alcun obbligo; la proposta M5s stabilisce non più di un’apertura domenicale al mese, non oltre i 12 giorni festivi all’anno, con turnazioni tra le attività; quella del Pd riprende una soluzione che nella scorsa legislatura aveva trovato consenso trasversale alla Camera, e prevede dodici giorni festivi l’anno di chiusura con possibilità di deroga per sei giorni. L’Italia è l’unico grande Paese europeo dove le aperture e le chiusure sono totalmente liberalizzate. In tutti gli altri i paletti sono molto più stringenti.

«C’è anche un altro dato utile al dibattito – afferma Ruffino – negli ultimi anni i consumi domenicali, quantomeno per i generi alimentari, sono diminuiti fino ad attestarsi a livelli simili a quelli infrasettimanali. Lo scontrino medio della domenica è più basso di quello del sabato e – conclude – facendo un giro nei supermercati di domenica ci si accorgerà che i carrelli non sono stracolmi di beni di prima necessità».

Salvo Catalano

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