Il suo corpo è riaffiorato sulla spiaggia di Ajdabiya, nell’est della Libia ed è una delle poche vittime alle quali è stato possibile dare un nome. Hayam Shalash el Asouli è una delle vittime del naufragio avvenuto lo scorso 9 settembre al largo delle coste di Malta nel quale hanno perso la vita oltre 400 persone. La donna, 25 anni, viaggiava su un barcone assieme ai figli Ritaj di 4 anni e Yamen di appena otto mesi, ancora dispersi. È stato possibile riconoscere il cadavere perché la giovane mamma, come spiegano fonti libiche, aveva con sé un pacchettino in plastica con i suoi documenti, delle monete e alcuni numeri di telefono. Le autorità hanno contattato i familiari, giungendo a una zia in Arabia Saudita che ha fornito i recapiti del marito di Hayam, sopravvissuto al naufragio e trasferito in Grecia. Ma l’uomo si è detto sorpreso del ritrovamento in Libia del corpo della moglie dato che, come molti testimoni hanno raccontato, il naufragio sarebbe accaduto più a nord, vicino le coste italiane.
Sulla tragedia indaga la procura di Catania. Proprio grazie ai racconti dei sopravvissuti, gli inquirenti hanno stabilito la dinamica dell’accaduto. La barca «è stata volontariamente affondata da altra imbarcazione più grande, che l’ha speronata. Tale condotta fu determinata dal rifiuto del comandante della nave su cui si trovavano i migranti di farli trasbordare su di un natante che non appariva idoneo a garantirne la sicurezza», ha spiegato in un comunicato il procuratore Giovanni Salvi.
Sul barcone viaggiavano cittadini di origini siriane, palestinesi, egiziane e sudanesi. Un viaggio iniziato il 6 settembre a Damietta, in Egitto. Tre giorni dopo, mentre l’imbarcazione si trovava tra Malta e Creta, sarebbe avvenuto l’affondamento, scoperto solo sei giorni dopo. Secondo il racconto di due superstiti palestinesi all’Organizzazione internazionale per le migrazioni, i migranti in preda al panico sarebbero caduti in mare, altri si sarebbero salvati aggrappandosi a mezzi di fortuna restando in balia delle onde per giorni.
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