«In Libia l’Italia non sta portando avanti una guerra ai trafficanti di esseri umani ma sta combattendo una guerra verso tutti i migranti». Nancy Porsia, la giornalista freelance che da anni racconta ciò che avviene in Nord Africa e in Medio Oriente (vive in Libia dal 2013, dopo aver realizzato un reportage sulla cosiddetta primavera araba nel 2011), non ha timore di prendere posizione. Più volte ha contestato la linea Minniti, vale a dire l’accordo con le istituzioni locali per frenare gli sbarchi e fermare gli approdi direttamente in Africa. E a Ballarò, il quartiere multietnico della città, la sua presa di posizione è ancora più importante. All’interno del percorso verso la sessione del Tribunale Permanente dei Popoli, che si terrà a dicembre a Palermo, il Forum Antirazzista e il circolo Arci Porco Rosso – insieme alla rete dei soggetti che sostengono il Tribunale Permanente dei Popoli – hanno organizzato ieri sera un incontro di approfondimento sulla situazione libica.
«Nelle mie inchieste sono partita dal racconto dei gruppi criminali di Sabrata – racconta l’analista – per arrivare a documentare la corruzione e le infiltrazioni mafiose tra le istituzioni. Le autorità libiche non sono pronte per affrontare concetti come i diritti umani, d’altra parte la Libia ha avuto prima 40 anni di regime con Gheddafi e poi le milizie; ma la colpa è dell’Unione Europea e del governo italiano che scelgono di averle come interlocutrici. La mafia eritrea e quella nigeriana hanno avuto gioco facile ad approfittare dei vuoti di potere, e hanno industrializzato il business dei migranti». Poi Porsia torna a puntare il dito sull’attuale ministro degli Interni, il cui ruolo verrà affrontato anche nel capoluogo siciliano all’interno della sessione del tribunale dei popoli: «Minniti ha fatto il lavoro sporco con una sfacciataggine incredibile».
La giornalista (che ha realizzato parecchi servizi per testate, radio ed emittenti nazionali come Rai o SkyTG24 e internazionali come The Guardian e Al Jazeera) sulla propria pelle ha appreso come raccontare dei conflitti sparsi per il mondo inevitabilmente si intreccia con l’altra grande questione del nostro tempo, vale a dire il fenomeno delle migrazioni. «Perfino la società civile libica adesso prende i barconi e tenta la fortuna – aggiunge la freelance -. L’altra grande differenza col recente passato è che, dopo gli accordi con l’UE, le milizie si sono gettate sul business della detenzione. E ora possiedono e gestiscono molti di questi centri». All’incontro c’è tempo pure per affrontare un altro nodo essenziale, quello della presenza italiana in Libia attraverso le industrie. Il caso più lampante è il Greenstream, il gasdotto che collega la Libia a Gela posseduto al 75 per cento dal cane a sei zampe. «I pozzi Eni sono tra le poche economie rimaste in piedi in Libia» conclude l’analista.
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