Atteso dalla stampa per ore, prudente sui dati fino al parossismo, il nuovo presidente della Regione è apparso al comitato elettorale di viale Ruggero di Lauria intorno alle 19.20, dopo aver seguito le fasi salienti dello spoglio da casa, davanti alla tv, in famiglia. Come un normale cittadino. Anche se da oggi è un cittadino un po’ meno normale: è Governatore della Sicilia. Successo centrato dopo la lunga tessitura per ricostituire una coalizione di centrodestra che fino a quel momento non navigava in buone acque. Dopo una campagna elettorale massacrante. Dopo aver resistito alle polemiche sugli impresentabili nelle liste, che oggi, da qui, sembrano un po’ più lontane.
«Una campagna elettorale avvelenata, difficile, è ormai acqua passata – dice Musumeci alla folla – con il sostegno della nuova maggioranza ma anche di tutte le forze dell’opposizione, riusciremo a risalire la china». Il neopresidente usa i toni gravi della responsabilità e dell’appello «a lavorare tutti assieme per restituire alla politica credibilità ed autorevolezza».
La vittoria di Musumeci, adesso, avrà un forte riverbero sull’assetto nazionale del centrodestra. Tutti i leader sfilati in questi giorni tra Catania e Palermo gli hanno riconosciuto il difficile ruolo del federatore. Il test siciliano si è rivelato vincente e, in virtù del cosiddetto patto dell’arancino siglato pochi giorni fa alla Trattoria del Cavaliere (alla presenza del cavaliere in carne ed ossa, Silvio Berlusconi), è diventato un modello da esportare.
Allo stesso tempo, ovviamente, bisognerà trovare la quadra per comporre il governo regionale. Sul quale i partiti nazionali, fino a poche ore fa, hanno escluso mire poltronistiche. Tuttavia, quando il discorso verrà intavolato tutti vorranno contare. Si tratterà del primo tagliando per la tenuta della coalizione. E poi c’è la delicata partita dell’Ars, ancora aperta.
Già intorno alle 16 i giornalisti non avevano più alcun dubbio su chi fosse il vincitore delle elezioni regionali. Il distacco dal pentastellato Giancarlo Cancelleri era ormai stabile, tra i 4 e i 5 punti percentuali. Tra i seggi non ancora scrutinati, peraltro, molti si trovavano in territori in un cui lo schieramento conservatore stava girando più che bene. Catania, ad esempio, ma anche Messina.
Superata la fase del consolidamento dei dati, all’hotel Nettuno era calato un velo di noia. Interrotto, di tanto in tanto, da una battuta dell’ex sindaco etneo Raffaele Stancanelli, il primo ad arrivare e l’ultimo ad andar via dal quartier generale musumeciano, con compiti poco appariscenti ma decisivi sul piano politico. Specie nella costruzione della coalizione. In tarda mattinata era arrivata anche Giorgia Meloni, per la seconda volta a Catania in pochi giorni. Per Forza Italia non sono mancati i coordinatori Basilio Catanoso e Vincenzo Giibino. Lo stesso Salvo Pogliese si è allontanato molto poco dall’area stampa. E, di ora in ora, il «cauto ottimismo» si è trasformato prima in solida speranza, poi in incontenibile entusiasmo. Fino all’arrivo del nuovo presidente della Regione. Già ripartito alla volta di Palermo.
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