«La sentenza è errata e deve essere annullata». E, intanto, «sospesi immediatamente» i suoi effetti. E’ l’inizio del secondo round della battaglia sul Muos davanti ai giudici amministrativi di Palermo. Il ministero della Difesa ha impugnato la decisione del Tar che lo scorso 13 febbraio ha dichiarato abusivi i lavori per la costruzione dell’impianto satellitare di comunicazioni militari. Un’opposizione che mira a smontare interamente la sentenza: dalla legittimità delle associazioni che hanno presentato i ricorsi, all’istruttoria che ha portato alle autorizzazioni, definita «senza difetti», fino alle famose revoche da parte della Regione Sicilia.
Dopo aver contestato punto per punto la decisione del Tar, l’avvocatura di Stato per conto del ministero della Difesa, propone una sorta di accordo: non attivare il sistema Muos finché il giudizio non sarà definitivo, ma allo stesso tempo sospendere gli effetti della sentenza di primo grado, che, ammette la stessa Avvocatura, «potrebbero arrivare alla dismissione del Muos e al ripristino dei luoghi». Sulla sospensione degli effetti si pronuncerà il Consiglio di giustizia amministrativa alla prima seduta utile. Probabilmente il 15 aprile.
«Per alcuni versi – commenta Nello Papandrea, uno dei legali del Movimento No Muos – le tesi del ministero della Difesa appaiono contraddittorie. Il primo punto riguarda i soggetti che hanno presentato il ricorso. Secondo loro non sarebbero stati legittimati perché associazioni locali e non nazionali, o peggio singoli cittadini, o ancora movimenti costituiti da troppo poco tempo».
Si passa quindi alle revoche del 29 marzo del 2013, con cui la Regione Sicilia ritira le autorizzazioni ambientali concesse due anni prima. Nella sentenza di febbraio il Tar specificava che la Regione aveva sbagliato: non poteva trattarsi di revoche ma di veri e propri annullamenti, quindi con effetto retroattivo, visti i difetti sin dall’origine dell’istruttoria. L’opposizione del ministero adesso contesta proprio questo punto focale della vicenda. «Per esserci un annullamento d’ufficio – ricorda l’Avvocatura – il ritiro deve avvenire entro un termine ragionevole». Per i legali del ministero due anni, dal 2011 al 2013 – cioè il tempo passato dalla concessione delle autorizzazioni alla loro revoca – sono troppi. «Costituiscono un significativo fattore di stabilizzazione e non possono dunque considerarsi un termine ragionevole», si legge nell’opposizione. E aggiunge che comunque non c’era motivo di annullare nulla, perché l’istruttoria per il rilascio delle autorizzazioni era «priva di difetti».
Al di là dei motivi tecnici, nelle circa 50 pagine dell’opposizione, l’Avvocatura dello Stato insiste ripetutamente su un principio di carattere generale che spesso è stato dibattuto a proposito del Muos: «le opere destinate alla difesa militare, così come la materia della sicurezza del traffico aereo sono di competenza esclusiva dello Stato».
«E’ vero – commenta l’avvocato Papandrea – che esiste una normativa, il testo unico sulle forze armate del 2010, secondo cui le opere realizzate da partner della Nato sul nostro territorio sono considerate utili alla difesa nazionale. Anche ai fini dell’applicazione della normativa urbanistica. Ma – precisa il legale – è lo stesso testo unico che specifica come, nel caso in cui queste opere ricadano in aree protette, devono seguire le regole tradizionali».
Infine, per quanto riguarda il traffico aereo, Papandrea spiega: «Nella sua relazione l’Enav spiega che il Muos intercetterebbe 12 rotte, ma segue solo un punto di vista geometrico, mentre da un punto di vista funzionale l’Enav dice di non essere in grado di affermare se può creare danni ad aerei o persone. Ma l’Avvocatura sembra glissare su questo tema».
Non glissa invece sull’aspetto economico. Nelle conclusioni dell’opposizione si legge: «Non va sottaciuto il gravissimo e immediato pregiudizio economico che subirebbe» il ministero della Difesa nel caso in cui «dovesse dare esecuzione della sentenza», ripristinando i luoghi com’erano prima della realizzazione del Muos: «ingenti somme di denaro pubblico, infatti, sarebbero sottratte ai fini istituzionali compromettendone irrimediabilmente il buon esito. Ovviamente – continua l’Avvocatura – anche di ciò risponderebbe poi in via risarcitoria l’amministrazione regionale».
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