Le misurazioni vanno fatte. La storia del Muos riprende dallo stesso punto in cui si era interrotta a gennaio, quando il collegio dei verificatori – nominato dal Consiglio di giustizia amministrativa per quantificare i rischi connessi all’accensione dell’impianto satellitare di Niscemi – decise di non effettuare le rilevazioni sul campo, per un insieme di motivi che scatenarono diverse polemiche. Non ultima, l’impossibilità di prendere adeguate misure precauzionali per la popolazione. A ribadire questa necessità di testare la potenza delle tre parabole è lo stesso Cga.
«Il consiglio deve subito evidenziare che ai fini del presente giudizio occorre disporre il completamento delle operazioni di verificazione, già in precedenza assegnate al relativo collegio», scrivono i giudici, i quali sottolineano come la sentenza parziale, con cui sono stati in parte contraddetti i motivi per cui il Tar ha dichiarato abusivo l’impianto, prevedesse la verificazione della «effettiva consistenza delle emissioni generate». Da parte del Cga, poi, viene rimarcato come il ministero della Difesa – parte in causa nel procedimento – fosse stato incaricato di assicurare che i verificatori venissero posti «nelle condizioni migliori per poter compiere gli accertamenti». Condizioni che in realtà non state garantite, nonostante l’allungamento del termine ultimo entro cui si sarebbero dovute tenere le verifiche. Che i giudici ricordano avrebbero dovuto riguardare la «misurazione dell’intensità dei campi irradiati alla massima potenza prevista».
Tra i motivi che hanno impedito il completo svolgimento dei compiti del collegio, il Cga fa riferimento all’indisponibilità della strumentazione da parte dell’Arpa «che pure ne aveva precedentemente garantito la disponibilità piena». Già il mese scorso, MeridioNews aveva dato la notizia della mancata taratura delle apparecchiature che i tecnici avrebbero dovuto utilizzare a Niscemi. Davanti a tale difficoltà, i verificatori avevano deciso di stilare la propria relazione basandosi esclusivamente sui dati forniti dall’ambasciata statunitense. Elementi sui quali, tuttavia, già in passato si erano addensati i dubbi per via di alcune variazioni a oggi poco chiare. Tale scelta, come detto, non soddisfa i giudici, che ribadiscono la necessità di «procedere agli accertamenti mancanti con le modalità già stabilite dalla precedente sentenza».
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