Attesa e imbarazzo. Sono questi gli elementi che caratterizzano in queste ore le vicende legate al Muos, e nello specifico il lavoro del collegio dei verificatori che, tra ieri e oggi, ha preso in esame la documentazione fornita dall’ambasciata statunitense sull’impianto satellitare di Niscemi. In principio, l’oggetto dello studio sarebbero dovuti essere le misurazioni sul campo prescritti a novembre dal Cga e per i quali lo stesso Consiglio di giustizia amministrativa ha nominato l’equipe di esperti. I controlli però – previsti per il 13 e 14 gennaio, con l’accensione alla massima potenza delle parabole – non si sono svolti. E questo per un motivo che ha lasciato stupiti i più: l’impossibilità di attuare adeguate misure precauzionali per la popolazione.
Nell’ultima settimana, tuttavia, di retroscena ce ne sono stati altri. Come la scoperta della mancata taratura della strumentazione che l’Arpa avrebbe dovuto utilizzare nel sito di contrada Ulmo, con l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente impossibilitata a ottenere per tempo la regolazione degli analizzatori di spettro. I motivi di imbarazzo, però, non finiscono qui. In attesa di conoscere i contenuti della relazione dei verificatori, le prime indiscrezioni parlano della mancanza – già denunciata negli anni scorsi dai legali del comitato No Muos – delle autorizzazioni antisismiche. In altre parole, il Muos, pur trovandosi in una zona a elevato rischio terremoti, è stato realizzato senza che nel progetto venissero considerati i dovuti accorgimenti previsti dalle norme in materia. Davanti a questi rilievi, da parte del ministero della Difesa – che nel procedimento difende indirettamente gli interessi degli statunitensi – sarebbe arrivata la rassicurazione secondo cui la pratica in oggetto sarebbe ferma in uno studio napoletano e in procinto di essere recapitata alle parti.
Ma a far discutere maggiormente rimane la questione emissioni. Come detto, i verificatori dovranno pronunciarsi sulla pericolosità del Muos non più su dati sperimentali ma su proiezioni basate sul progetto. Attorno a quest’ultimo punto, però, si sviluppa l’ennesimo nodo: mentre il progetto originario prevedeva una potenza massima per le parabole di 1600 watt, nel 2013 il dato è stato drasticamente ridotto a 200. A chiedersi il perché di questa correzione fu all’epoca anche l’Istituto superiore della sanità incaricato di pronunciarsi sui possibili effetti del Muos: «Ci si riferisce al valore della potenza massima dichiarata […] – si legge a pagina 11 della relazione – del quale si è constatato esistere due versioni dallo stesso titolo e riportanti la stessa data, la prima fornita […] dall’ambasciata Usa, la seconda allegata al progetto». Inoltre, se in un caso il valore della potenza dichiarato è, per l’appunto 1600 watt, nell’altro i calcoli forniti dagli americani sono ottenuti basandosi su una potenza di 138,04 watt. La cifra, infatti, viene arrotondata in un secondo momento, quando l’Istituto superiore della sanità chiede lumi su quelle discrepanze: «Sono stati pertanto chiesti chiarimenti all’ambasciata Usa, che ha precisato che il valore di potenza da considerare è 200 watt».
A completare il quadro, infine, la notizia riguardante il modello previsionale che verrà prodotto a sostegno della relazione dei verificatori. Il modello – una proiezione concreta delle azioni delle parabole in compresenza con le altre 46 antenne già attive a Niscemi – verrà sviluppato da Agostino Monorchio, stimato docente di Campi elettromagnetici presso l’università di Pisa ma, soprattutto, consulente di parte del ministero della Difesa. La motivazione che ha portato a questa decisione, a quanto pare, riguarda anche in questo caso la ristrettezza dei tempi a disposizione del collegio che non ha potuto affidare a un attore terzo lo sviluppo dei dati americani.
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