A diversi anni di distanza dalla manifestazione alla base Usa di Niscemi del 9 agosto del 2013 e di quella del 25 aprile del 2014, si ritrovano indagati in 129. Mai fino ad ora gli attivisti No Muos si erano trovati in tanti, e tutti insieme, sotto l’attenzione della magistratura. La Procura di Gela ha chiuso le indagini e ha deciso di non archiviare il caso, atto preliminare alla richiesta di rinvio a giudizio per gran parte di quelli che, in quei due giorni, sono entrati nella base statunitense che ospita il sistema militare di telecomunicazioni satellitari. Si va dal più anziano, un fiorentino di 82 anni, al più giovane, 21.
Il pubblico ministero contesta a 34 persone i reati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, perché, scrive, «colpivano gli operatori di pubblica sicurezza con bastoni e diverse aste di bandiera e lanciavano verso loro pezzi di legno, bottiglie di vetro e pietre». Gli altri dovranno rispondere di invasione della base, dove «l’accesso è vietato nell’interesse militare dello Stato» e rischiano o una sanzione di massimo 309 euro, o il carcere da tre mesi a un anno. Infine, dieci attivisti sono stati individuati come responsabili del taglio della recinzione con delle cesoie.
Le due manifestazioni al centro delle indagini si svolsero regolarmente. Alcuni momenti di tensione si registrarono il 9 agosto del 2013: inizialmente la polizia provò a impedire l’accesso dei manifestanti alla base, usando anche la forza. Il giorno prima del corteo otto attivisti passarono oltre la recinzione e si arrampicarono sulle antenne, seguiti, alla fine della manifestazione, da molti altri attivisti. Il 25 aprile del 2014, invece, gli attivisti liberarono un pozzo che si trova dentro la base Usa. Un atto simbolico considerata la grave carenza d’acqua di cui soffre Niscemi.
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