Una sorta di maxiprocesso. Stavolta non alla mafia, ma al movimento No Muos. Saranno infatti 125 gli imputati del procedimento che inizierà il 12 dicembre al Tribunale di Gela. Le accuse vanno dalla resistenza e violenza nei confronti di un pubblico ufficiale – 34 le persone interessate – all’ingresso arbitrario in luoghi militari, fino al danneggiamento. I fatti contestati si sono svolti a distanza di otto mesi l’uno dall’altro e in entrambi i casi durante due manifestazioni di protesta contro l’installazione dell’impianto satellitare che si trova all’interno della base militare statunitense di contrada Ulmo a Niscemi.
Nel primo caso, il 9 agosto 2013, parte dei manifestanti riuscì ad accedere alla base dopo un confronto fisico con la polizia che presidiava i limiti del sito militare. Nel decreto di citazione in giudizio si legge che gli imputati «al fine di costringere le forze di polizia a desistere dal loro compito istituzionale colpivano gli operatori con bastoni e diverse aste di bandiera e lanciavano verso di loro pezzi di legno, pietre e bottiglie di vetro». Stando all’accusa, lo scontro con le forze dell’ordine avrebbe incluso anche «calci e pugni».
Il secondo episodio che finirà al centro del processo si è svolto invece la primavera successiva, nel corso di una manifestazione organizzata per il giorno della liberazione dal nazifascismo. Quella volta gli attivisti, dopo avere reciso con una cesoia parte della recinzione che delimita lo spazio militare, arrivarono fino a un pozzo, liberando in chiave simbolica. Un gesto che – oltre al significato politico legato all’opposizione alla concessione agli Stati Uniti di realizzare in una riserva naturale quello che è considerato uno strumento di morte – poneva l’attenzione su un altro problema che riguarda da vicino i niscemesi specialmente d’estate: la carenza di risorse idriche e il conseguente rischio siccità.
La notifica per i 125 imputati – gli indagati in origine erano 129 ma quattro hanno optato per l’oblazione, ovvero il pagamento di una sanzione per evitare il processo e la possibilità di vedere la propria fedina penale macchiata – è arrivata oltre cinque mesi dopo dalla decisione del procuratore di Gela Fernando Asaro. Una tempistica che, per alcuni dei protagonisti, sarebbe stata eccessivamente dilatata nel tempo e che potrebbe non essere casuale. «Questa estate abbiamo organizzato un campeggio (dal 4 al 6 agosto, ndr) per riunire gli attivisti – racconta uno degli imputati -. Guarda caso le notifiche sono iniziate ad arrivare proprio prima dell’evento. Non sarebbe la prima volta che si cerca di intimidire l’aggregazione di chi si oppone al Muos».
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