È morto da detenuto a soli 29 anni Don Emeka, uno dei personaggi chiave nelle indagini sui cult della mafia nigeriana a Palermo. L’uomo, nigeriano classe ’89, si sarebbe sentito male in carcere, al Pagliarelli, sabato pomeriggio, quando è stato trasportato all’ospedale Civico dove è morto la mattina di ieri. Primo testimone delle violenze perpetrate dal cult dei Black Axe a Ballarò, fu la sua denuncia della terribile aggressione subita il 26 gennaio del 2014 a spostare la lente d’ingrandimento della Procura palermitana sulle associazioni criminali nigeriane a Palermo. Non pentito ma vittima, Emeka era stato picchiato da tre uomini di Black Axe riportando la frattura scomposta di un braccio e sfigurato in maniera permanente al volto con i cocci di una bottiglia rotta.
Questo episodio diede vita all’indagine che culminò con l’arresto di buona parte dei componenti della frangia palermitana di Black Axe, insieme ai responsabili dell’aggressione, tra cui figura Austine Johnbull, condannato proprio per il tentato omicidio di Emeka e in seguito diventato il primo vero pentito della mafia nigeriana nel capoluogo. Anche grazie alle dichiarazioni di Johnbull gli inquirenti sono riusciti a ricostruire il sistema dei cult, una sorta di clan rivali pronti a tutto per spartirsi la piazza di Ballarò. Un’indagine lunga che lo scorso aprile portò in carcere anche lo stesso Don Emeka «per aver aspirato – si legge nelle carte – ad assumere un ruolo di vertice in seno ai Vikings – cult rivale dei Black Axe ndr – Per avere partecipato alle attività della associazione Vikings, per aver operato al fianco degli ulteriori membri dei Vikings palermitani e non, e per aver posto in essere condotte violente nei confronti di soggetti estranei al cult e a membri di altri cult».
Accuse, quelle mosse contro Emeka, per le quali non c’è ancora stato un iter processuale. «Avrei dovuto incontrarlo sabato – dice a MeridioNews il legale dell’uomo, Maurilio Panci – ma non è stato possibile perché mi è stato comunicato che non si trovava nella sezione adibita agli incontri». Fonti ufficiali parlano di morte per cause naturali, mentre non è confermata la notizia che si sia trattato di una crisi glicemica. «Non so se è morto al Civico o in carcere – continua il legale – non so assolutamente nulla in più rispetto a quella che è stata la comunicazione dell’ospedale, anche se non ho motivo di dubitare di quanto mi è stato riferito. Siamo comunque stati con la madre della figlia di Don Emeka e con il suo assistente legale e abbiamo fatto richiesta di tutti gli atti del procedimento».
Una morte, quella di Emeka, che non è passata sotto silenzio nella comunità nigeriana palermitana. Ieri sera c’è stato un picchetto di fronte agli uffici della squadra mobile, promosso da alcuni amici dell’uomo e dal circolo multiculturale Arci Ikenga. «Non ci hanno detto molto – dice un rappresentante del circolo – Per noi Emeka è stato un grande, che difendeva tutti. In carcere non c’erano più i suoi nemici, quelli che aveva denunciato, ma c’erano tante persone che non gli volevano bene. Vogliamo parlare con il suo avvocato e con le autorità, vogliamo verità». La verità giudiziaria resta ancora lontana, visto che il processo è ancora da celebrare e che proprio Johnbull, prima di pentirsi, aveva cercato di screditare Emeka, tentando di farlo passare come un rapinatore per mettere in dubbio il valore della sua parola in tribunale. Sul corpo del 29enne nigeriano è stata disposta l’autopsia, che cercherà di confermare le cause del decesso.
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