Morte Eligia Ardita, va avanti processo per omicidio Nella prossima udienza verrà interrogato il cognato

Eligia Ardita, infermiera di 35 anni è stata uccisa la sera del 19 gennaio 2015 nella sua casa di via Calatabiano, nel quartiere Santa Panagia di Siracusa. Insieme a Giulia, la bambina che portava in grembo e che sarebbe dovuta nascere il mese successivo. Inizialmente, la vicenda salta alla cronaca come un caso di malasanità e i magistrati ipotizzano i reati di procurato aborto e lesioni colpose per il ginecologo che aveva in cura la donna e i tre operatori del 118 che erano intervenuti. Ma sarà poi l’esito dell’esame autoptico a rivelare un elemento mai emerso prima: nella relazione è scritto che Eligia aveva delle lesioni alla testa.

La sera del 19 gennaio di due anni fa, Eligia aveva invitato a cena papà Agatino e mamma Graziella. Quando intorno alle 21.30 i genitori erano tornati a casa, il marito Christian si sarebbe preparato per uscire e raggiungere alcuni amici ma la donna gli avrebbe chiesto di restare e, così, avrebbero iniziato a litigare violentemente tanto che lui l’avrebbe colpita alla testa tappandole la bocca. Eligia avrebbe vomitato e perso i sensi, andando in arresto cardiaco. Dopo averla trascinata sul letto, il marito avrebbe ripulito tutto e, solo un’ora più tardi, avrebbe chiamato il 118. Troppo tardi, Eligia muore mentre viene trasportata in ospedale. Inutile anche il tentativo di salvare Giulia con un cesareo d’urgenza. 

«Quella famosa sera – racconta a Meridionews il padre di Eligia, Agatino Ardita – lui mi ha chiamato e, quando sono arrivato, verso le 23.30, ho trovato mia figlia stesa a terra. A me è sembrata già morta. Immediatamente ho avuto il sospetto che fosse lui il responsabile. Ho chiesto spiegazione e Christian mi detto che stavano dormendo insieme quando, a un certo punto, Eligia è stata male e allora lui ha chiamato i soccorsi. In realtà – spiega Ardita – mi sono subito accorto che il letto non era stato disfatto e che lui era pronto per uscire con tanto di gel ai capelli». Nel racconto del genero le incongruenze cominciano a emergere ma, quella stessa sera, Christian va insieme ai suoceri dai carabinieri per denunciare i ritardi nei soccorsi, e così viene aperta un’inchiesta sui quattro operatori sanitari. «Io volevo sapere come era morta mia figlia, se si potevano salvare lei o la bambina e cosa era successo quella sera in casa loro anche perché già all’obitorio mi ero reso conto che Eligia era morta almeno un’ora prima rispetto alla chiamata del marito». 

Il successivo sopralluogo del Ris di Messina nell’appartamento permette l’acquisizione di tracce che lasciano ipotizzare una colluttazione e un segno di trascinamento delle macchie dal salotto alla camera da letto. «Sono convinto – denuncia – che mia figlia, prima che io arrivassi, fu cambiata e sistemata e il dubbio forte è che lui non fosse solo a fare queste operazioni ma che ci fossero persone competenti anche perché in quella casa è stato trovato un dna femminile che non appartiene a nessuno dei componenti della famiglia».

La casa dove Eligia viveva insieme al marito Christian finisce sotto sequestro e lui sotto inchiesta. È il 19 settembre 2015 quando Christian va con il suo avvocato in caserma e, davanti al procuratore aggiunto Fabio Scavone, confessa il delitto. «C’è stata una lite sfociata in una colluttazione e poi il mio assistito – riferisce l’allora legale di Leonardi, Aldo Scuderi – ha anche attuato dei comportamenti atti a mutare la scena del delitto. Adesso si è assunto tutte le responsabilità». Nell’aprile successivo Christian, ex guardia giurata, ritratta la sua versione con una memoria di dieci pagine che i suoi nuovi avvocati consegnano alla Corte d’Assise quando sta per concludersi la prima udienza del processo. In sostanza, l’uomo spiega di essersi addossato tutte le responsabilità perché che si sentiva sotto pressione da parte del fratello Pierpaolo e del suo precedente difensore. «Entrambi per queste dichiarazioni lo hanno querelato – aggiunge il signor Ardita – e c’è da considerare che la sua iniziale confessione è perfettamente in linea con i riscontri oggettivi che sono stati fatti».

Da allora il processo di primo grado a carico di Leonardi va avanti. Sono stati già sentiti medici legali, operatori sanitari, colleghi e amici di Eligia, gli amici di Christian, familiari, una vicina di casa. In tutto i teste sono 52 e ne rimangono da esaminare ancora 19. Durante l’ultima udienza è stato ascoltato uno degli amici di infanzia di Leonardi, Fabio Cappuccio. La prossima, che si terrà mercoledì prossimo, prevede l’esame del fratello dell’imputato. «Noi siamo ancora adesso una grande famiglia e sarà così finché loro continueranno a portare rispetto per mia figlia», tiene a sottolineare il padre facendo riferimento ai familiari di Christian.

Eligia teneva un diario, che adesso sta agli atti del processo, in cui appuntava tutte le sue giornate e i suoi pensieri. «Era una ragazza abitudinaria – racconta Ardita – quindi è stato più facile per noi ricostruire anche le bugie raccontate da lui». Erano sposati da poco meno di due anni e il matrimonio era arrivato dopo cinque anni di fidanzamento. «Per Eligia era il primo uomo della sua vita. Lui però ultimamente non stava mai in casa, era sempre in giro con i suoi amici e non voleva lavorare più – ricorda Ardita -. Si era messo in cassa integrazione volontaria e il suo stile di vita non era più compatibile con la vita coniugale. Questo era l’argomento di discussione con mia figlia che era stato affrontato anche quella sera durante la cena. Ad alcune amiche e colleghe, già sentite anche dagli inquirenti, Eligia aveva confidato che lui era possessivo e violento, mentre a mia moglie aveva detto che “se quando arriva la bambina lui non cambia, io prendo le mie cose e torno a casa con voi“». 

Durante il processo si stanno delineando i confini di questa storia. «Ho dovuto combattere per otto mesi prima che si vedesse un barlume di giustizia. Adesso – conclude il padre – voglio arrivare alla verità e, per questo, ho chiesto di fare verifiche anche sulla provenienza dei pagamenti delle spese legali di Christian perché da lì potrebbero venire degli indizi per un possibile movente del delitto».

Marta Silvestre

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