Salvando la straordinaria, sentita e importante partecipazione dei giovani alle manifestazioni per ricordare Giovanni Falcone, va segnalata solo linsopportabile retorica dei farisei della politica. Ma, per fortuna, oltre al diluvio di retorica, ci sono anche parole che vale la pena di riportare. Come quelle del Gup di Palermo, Piergiogio Morosini, un magistrato conosciuto per il suo rigore e la sua serietà .
Parlando ai microfoni di Radio Città Futura, Morosini ha affermato: ”Basta ascoltare le parole di Borsellino in quell’incontro alla Biblioteca di Palermo del 23 giugno del 1992, per comprendere che le sue preoccupazioni, rispetto all’attentato di Capaci, non sono affatto rivolte al mondo dei Corleonesi, ma a tutte quelle dinamiche istituzionali che hanno fortemente penalizzato Falcone e lo stesso Borsellino e che verosimilmente c’entravano qualcosa con quanto era avvenuto a Capaci”. (a sinista, fto di Piergiorgio Morosini tratta da 123people.it)
“Giovanni Falcone in questi giorni – ha aggiunto Morosini – viene presentato come un uomo che ha contrastato per anni con grande professionalità un’associazione di criminali sanguinari come i Corleonesi ottenendo notevoli risultati, ucciso per vendetta, i cui responsabili sono stati assicurati tutti alla Giustizia”. Per il magistrato, invece, il contenuto di buona parte di queste commemorazioni di facciata è, per alcuni versi rassicurante, ma in realtà viene subito messo in discussione proprio dalle parole di Borsellino”.
Morosini parla anche della trattativa tra Stato e mafia. “Durante l’estate scorsa – ha detto – si è fatto soprattutto gossip sul processo relativo alla trattativa Stato-mafia e sul possibile contenuto di alcune intercettazioni che riguardavano il Capo dello Stato. Si è parlato di eventuali aspirazioni politiche di un pm, con riferimento ad Antonio Ingroia, ma si è parlato pochissimo dei temi del processo e di quello che è realmente accaduto tra il ’92 e il ’93. Si è parlato pochissimo delle prime intuizioni della Direzione Investigativa Antimafia rispetto a quella stagione.
C’è una serie di elementi – ha sottolineato Morosini – che accredita la tesi secondo la quale, in quel periodo, Cosa nostra e la ‘ndrangheta si sentivano quotidianamente con esponenti del mondo dell’eversione nera, con pezzi dei servizi deviati e con segmenti della massoneria deviata”.
Per il magistrato, si tratta di dati dimenticati e analisi sottovalutate relative a un periodo delicatissimo che ha segnato in Italia il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica”.
Sottovalutazioni e dimenticanze imputabili anche al mondo intellettuale italiano che ha impoverito il dibattito. Morosini ha ricordato, infatti, che “intellettuali, storici e giornalisti con il loro contributo possono anche consentire agli altri di avvicinarsi alla verità”.
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