Le ultime “mosse” del professor Mario Monti, credo, che abbiano definitivamente bruciato il patrimonio di credibilità che si era guadagnato come tecnico d’alto profilo e come già Commissario europeo.
Chiamato come ancora di salvezza di un Paese al limite del collasso economico, dopo una serie di provvedimenti che – pur a prezzo di lacrime e sangue e, soprattutto, con l’aiuto decisivo di Mario Draghi – avevano messo in sicurezza i nostri conti e ridato immagine internazionale all’Italia, ha visto progressivamente esaurire la sua iniziale spinta propulsiva tradendo la missione a cui era stato chiamato.
Sono infatti rimasti per strada molti dei provvedimenti che avrebbero qualificato la sua azione di governo. Uno per tutti: l’accorpamento delle Province in attesa della riforma costituzionale che le avrebbe cancellate. La sua azione di governo è, infatti, apparsa debole, una sorta di re tentenna incapace di affondare il coltello dove andava affondato, accontentandosi di colpire chi non si poteva difendere.
La scelta, poi, discendere o salire in politica – convinto dal perverso tridente Casini, Fini, Montezemolo – ne ha mortificato la terzeità che un tecnico deve sempre cercare di mantenere. Il suo risultato elettorale è stato veramente deludente. Una sconfitta della quale avrebbe dovuto tenere conto.
Invece, come un bambino capriccioso, ha preteso di rientrare nel gioco, addirittura, questuando davanti al Presidente della Repubblica il più alto seggio di Palazzo Madama. E comprensibile l’indignazione di Napolitano di fronte ad una pretesa che andava, peraltro, oltre le sue stesse facoltà.
Non avere fatto convergere i voti del suo piccolo drappello di senatori sulla persona di Piero Grasso, ha reso evidente la modestia di questo personaggio gratificato, a mio modo di vedere, al di là dei suoi personali meriti.
Un povero pollo che si è creduto un’aquila come avrebbe detto il gesuita de Mello… E dire che aveva tratto in inganno tanti, me compreso.
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