Montenegro, il tesoro corrotto dei Balcani Droga e criminalità, ma «ci si lascia il cuore»

In Montenegro ci si lascia il cuore, e anche qualche amico. Paesino indipendente dal 2006, sanguina ancora da qualche ferita inflitta durante la guerra dei Balcani. Sono ancora sfregiati dalle bombe i palazzi di Podgorica, la capitale. Nel parco principale della città rimane un ponte tremolante, sopravvissuto miracolosamente al conflitto, su cui ragazzi si sfidano a chi è coraggioso abbastanza da saltarci. Come altri stati balcanici (e come l’Italia) il Montenegro soffre di malamministrazione e corruzione. E pare che, almeno secondo l’Europol, la situazione sia diventata insostenibile.

Nei giorni scorsi ha conquistato le prime pagine di Dnevne Novine, il giornale nazionale, un estratto di un rapporto dell’Europol non ancora pubblicato ufficialmente. La Polizia Europea avverte che il riciclaggio di denaro sporco è  diventato una delle maggiori entrate del paese. I soldi della droga arrivano qui, gonfiano l’economia entrandoci. Creano lavoro, maturano capitale. Il tutto con il tacito o proattivo consenso di almeno parte dei pubblici officiali.

Che il Montenegro sia sotto l’occhio della criminalità organizzata internazionale non è una novità. L’anno scorso un documento della Commissione Europea bacchettava la mancanza di una strategia nazionale contro il crimine finanziario. La supervisione delle banche è praticamente assente, le transazioni finanziarie sospette sono all’ordine del giorno. E se qualcuno viene beccato, la massima pena è una multa di €20.000 e nessuna condanna criminale. E’ niente se hai tra le tasche i milioni fatturati dalle vendite di eroina.

Il Montenegro è proprio in mezzo alla cosidetta rotta balcanica, una delle vie commerciali principali per i beni illegali. L’eroina prodotta in Afghanistan attraversa la Turchia per poi approdare nei Balcani. Da lì, a seconda del mercato di destinazione, parte per l’Italia, o su attraverso Austria, Germania e Belgio. La rotta non è monopolio dei trafficanti di droga. Trovi anche armi ed esseri umani, spesso nascosti nascosti tra gli scatoloni dentro un tir.

Ma il paese è speciale, forse perché le sue coste sono un’attrazione per chi gestisce i traffici. Il Montenegro è la meta vacanziera preferita da molti membri della criminalità russa. Nella bellissima Kotor (Càttaro, in italiano), per esempio, nessuno fa caso agli yacht eleganti, le cui entrate sono protette da uomini in nero che parlano russo. E a chi conviene dopotutto, è da quelle barche che il denaro arriva.

Budva lo stampo della criminalità organizzata è ancora più evidente. Da povero villaggio di pescatori, in poco più di dieci anni è diventata la Porto Cervo dei Balcani. Cinquecento milionari hanno comprato casa lì, rendendolo il paese con la più alta densità di ricchi in Europa (la popolazione totale di Budva è di 22.000 persone). Inutile dire che il boom dello sviluppo urbano è stato maggiormente finanziato dal riciclaggio di denaro sporco. La notizia è trapelata però solo due anni fa, con l’arresto del sindaco di Budva ed altri dieci dirigenti comunali. Abuso d’ufficio e costruzioni non regolamentate le accuse.

Nel mare di Budva feci una bella nuotata. Di fronte alla spiaggia c’è una piccola isola, che la gente del posto chiama Školj (conchiglia), ma è meglio conosciuta come l’isola di San Nicola. Un ragazzo del luogo mi disse che Školj era gestita da un mafioso locale, che per scappare a un regolamento di conti si nascondeva in Grecia. Chissa se è vero.

Prima di tornare in patria a fare il cameriere, quel ragazzo ha lavorato un paio d’anni in Italia. Nel porto di Gioia Tauro, ad essere esatti. Ulteriori dettagli, però, non me ne diede.

[Il post originale è su Il Mafioscopio. Foto di Balkanboy]

Stefano Gurciullo

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