Monte Pellegrino, il punto un mese dopo l’incendio «Senza interventi gli alberi torneranno tra 20 anni»

Per rivedere Monte Pellegrino com’era prima del grosso incendio del 16 giugno serviranno almeno 5 anni, ma senza interventi adeguati la ripresa completa si potrebbe avere solo tra un paio di decadi, più o meno nel 2036. È passato poco più di un mese da quando le fiamme hanno devastato diversi ettari di vegetazione su Monte Pellegrino, ma – a causa del periodo estivo e quindi della scarsità di piogge – le ferite inferte dal fuoco alla montagna cara – ma spesso anche vituperata – ai palermitani sono ancora ben visibili. Il botanico già assessore comunale al Verde, Francesco Maria Raimondo, fa punto della situazione e indica quali operazioni intraprendere per aiutare la natura a sanare i danni dell’uomo, dato che quell’incendio quasi certamente è stato doloso.

«Anzitutto – osserva Raimondo a MeridioNews – bisogna dire che la vegetazione andata perduta era in parte spontanea e in parte impiantata. Infatti dopo la seconda guerra mondiale il monte è stato pesantemente rimboschito». Una distinzione doverosa perché a diverse tipologie corrispondono trattamenti specifici: «Per quanto riguarda le latifoglie – olmi, lecci, faggi, ornielli – che sono andate bruciate bisognerebbe tagliare la parte arsa, in modo da favorire un pronto ricaccio, cioè la nascita di nuove gemme basali, che se non viene eliminata la parte colpita dal fuoco rischiano di soffocare. Ma questo lavoro andrà fatto tra ottobre e novembre, o comunque rigorosamente dopo le prime piogge torrenziali dell’autunno, in modo da sfruttare l’effetto ombrello dato dalle chiome, seppur bruciate». Il riferimento è al fatto che la pioggia, se non parata da rami e foglie precipita troppo velocemente sul terreno, mentre con l’effetto smorzante del verde le gocce rese più lente vengono assorbite dal terreno, nutrendolo. Lo stesso motivo è alla base della necessità di mantenere intatte le conifere – pini, cipressi, ginepri e altri -, almeno in un primo tempo, cioè fino a quando non saranno ricresciute le chiome delle altre specie tagliate, in modo da garantire sempre un minimo di protezione al terreno. 

Passando alle possibili azioni di ripristino delle alberature perdute, Raimondo osserva che «in via generale – continua l’esperto – eviterei di piantare eucalipti, che sono idrovore: Monte Pellegrino è carente d’acqua, è una spugna. Inoltre non consiglio di immettere nuove conifere, dato che queste sono piante pioniere, cioè sono le prime ad adattarsi in luoghi con poco substrato di terra, come era il monte 70 anni fa. Ora la situazione è diversa, il suolo è ricco di semi grazie alle piante selvatiche». Infatti queste specie autoctone, quali lentisco, olivello spinoso, terebinto, alaterno, erica multiflora, teucrio, asparago selvatico, tutte storicamente presenti sulla montagna, rilasciano una moltitudine di semi «ma – sottolinea Raimondo – questi non fioriscono tutti insieme. Alcuni restano dormienti e si risvegliano anche dopo un incendio, con le prime piogge».

Vista tuttavia la varietà morfologica che offre il promontorio tanto celebrato da Goethe, il botanico suggerisce uno studio zona per zona, in modo da individuare la tipologia di alberi più adatta da piantare. In ogni caso per recuperare la flora perduta servirà tempo: «dove è bruciata la macchia mediterranea, questa dovrebbe ricrescere spontaneamente nell’arco di cinque anni. Per quanto riguarda le latifoglie, se verrà effettuata l’operazione di taglio per stimolare le nuove gemme servirà comunque un lustro. In caso contrario, senza alcun intervento, si dovranno attendere 20 anni».

Massimo Gucciardo

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