Sono state depositate le motivazioni con cui la giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello ha condannato Antonello Montante a 14 anni. L’inchiesta, esplosa a maggio dello scorso anno, ha portato alla sbarra diverse persone legate alle forze di polizia ma anche alla politica, scoperchiando un sistema di potere che avrebbe avuto nell’imprenditore di Serradifalco il proprio fulcro.
Nella sentenza, riportata dal quotidiano Repubblica, la gup descrive Montante come «motore immobile di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere che, sotto le insegne di un’antimafia iconografica, ha sostanzialmente occupato, mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali». Le attività dell’ex numero di Confindustria Sicilia, poi nominato a numero due dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, vengono tratteggiate come un «un fenomeno che può definirsi plasticamente non già quale mafia bianca, ma mafia trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e perciò in grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle misure comuni».
Al centro del processo di primo grado ci sono state le dinamiche ricattatore su cui Montante avrebbe fatto leva per rendere solido il proprio potere. Una «raccolta incessante di dati riservati, documenti e registrazioni di conversazioni». Azioni che l’imprenditore avrebbe attuato con il contributo di esponenti infedeli della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza: «Non può non esprimersi un giudizio assai severo sul particolare allarme sociale provocato dal sodalizio, e ciò in ragione – conclude la giudice – della finalità delittuosa ad ampio spettro perseguita: eliminare il dissenso con il ricorso all’uso obliquo dei poteri accettativi e repressivi statuali, sabotare le indagini che riguardavano gli associati; praticare la raccolta abusiva di dati personali riservati, corrompere in maniera sistematica i pubblici ufficiali».
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