Montante informato dai servizi segreti e da Schifani Rete di contatti nata in Sicilia e proseguita a Roma

Non sarà stato del tutto sorpreso Antonello Montante quando all’alba di ieri è stato arrestato a Milano. Perché l’ex numero uno di Confindustria Sicilia sapeva. Era a conoscenza da oltre tre anni – e dunque ben prima che venisse raggiunto da un avviso di garanzia e che gli investigatori perquisissero la sua casa, scoprendo anche la stanza segreta dove conservava il libro mastro delle raccomandazioni – dell’andamento dell’indagine che la Procura di Caltanissetta stava conducendo a suo carico. E lo sapeva grazie ai suoi influenti contatti, partiti dalla Sicilia e arrivati molto in alto, fino ai vertici del servizio segreto civile. Della rete di informatori avrebbe fatto parte anche Renato Schifani, ex presidente del Senato. È a lui, infatti, che l’ex direttore dell’Aisi, il generale Arturo Esposito, avrebbe rivelato l’esistenza dell’indagine. Montante avrebbe così preso per mesi le cautele necessarie a rallentare gli accertamenti degli inquirenti. Ma non abbastanza da far arenare l’indagine che ieri ha definitivamente sollevato il velo del grande inganno della parte maggioritaria di Confindustria siciliana.

«Iddru», o «il generale». Gli indagati parlano del generale Esposito senza mai nominarlo, ma i pm nisseni non hanno dubbi. Il massimo referente di Montante è il direttore dell’Aisi. Il rapporto tra i due nasce molti anni prima in Sicilia, dove Esposito, fino al 2008, comanda la legione dei carabinieri. Una conoscenza confermata sia dalle dichiarazioni di Nicolò Marino (magistrato ex assessore di Crocetta in battaglia con Montante) e di Marco Venturi (ex amico dell’imprenditore nisseno e pure lui ex assessore di Crocetta), che dalle annotazioni che lo stesso Montante mette per iscritto nel grande database di favori e conoscenze conservato con puntigliosità maniacale. Le prime tracce sul file Excel del generale Esposito risalgono al 2007, le ultime al 2015. Si parla di cene e appuntamenti a Palermo e a Roma, anche nella sede dell’Aisi. 

Secondo gli inquirenti è da Esposito che parte la fuga di notizie che finirà per mettere in guardia Montante. Il primo passaggio riguarda Schifani. Il generale avrebbe infatti informato l’ex senatore, a cui è legato da rapporti di amicizia (al punto che Schifani avrebbe sponsorizzato fortemente Esposito al vertice dell’Aisi). Il politico a sua volta avrebbe passato la notizia ad Angelo Cuva, noto docente palermitano e amico di Schifani, nonché suo consulente quando quest’ultimo è stato presidente del Senato. A questo punto sarebbe entrato in gioco un personaggio chiave della rete di protezione di Montante: Giuseppe D’Agata, prima comandante provinciale dei carabinieri a Caltanissetta, poi capo centro della Direzione investigativa antimafia di Palermo, e infine, dal 2014 in poi, pure lui al servizio segreto civile. Anzi, per dirla con le parole intercettate di Salvatore Pasqualetto, fedelissimo di Montante, «a Roma gliel’ha messo lui (Montante ndr), l’ha tolto dalla Dia di Palermo e l’ha mandato là!». E a riprova del possibile aiuto fornito dall’imprenditore nella promozione di D’Agata, gli investigatori trovano un appunto nell’onnipresente libro mastro delle raccomandazioni. Schifani si difende: «Apprendo con stupore l’indagine a mio carico riguardo una mia presunta condotta, che è assolutamente inesistente. Mi riservo, piuttosto – aggiunge il senatore di Forza Italia – di denunciare per millantato credito chi per ipotesi mi ha coinvolto e sono a disposizione dell’autorità giudiziaria per comprendere meglio la vicenda e avviare tutte le iniziative opportune, al fine di tutelarmi da un’accusa palesemente infondata. Rivendico, infine – conclude – che non ho mai avuto alcuna amicizia o frequentazione con il signor Montante, a dimostrazione dell’assoluto disinteresse nei confronti di quest’ultimo». 

Ma come faceva il generale Esposito a conoscere l’andamento delle indagini a Caltanissetta? Per capirlo serve fare un passo indietro. La squadra mobile nissena è obbligata a comunicare allo Sco di Roma (il Servizio centrale operativo della polizia) eventuali indagini di criminalità organizzata. Succede anche per quella che riguarda Montante, inizialmente indagato per concorso esterno alla mafia, visti i suoi rapporti con Paolo e Vincenzo Arnone, boss di Serradifalco, suo paese di origine. Ma quelle informazioni sarebbero state girate ai servizi segreti da un dirigente dello Sco, Andrea Grassi (indagato in questa inchiesta). Circostanza che si sarebbe verificata in almeno due casi: la prima volta, a febbraio del 2015, a ricevere la comunicazione segreta è Andrea Cavacece (capo del contro spionaggio dell’Aisi), che poi l’avrebbe passata a D’Agata e quindi a Montante. Nel secondo caso, a dicembre del 2015, quando la Dda di Caltanissetta comunica le perquisizioni, la notizia arriva direttamente al generale Esposito, che per prima cosa prova ad approfondire la vicenda, sfruttando i buoni rapporti di uno dei suoi uomini con l’ex questore di Caltanissetta, Bruno Megale. Dall’incontro tra i due, avvenuto il 25 gennaio del 2016, i vertici dell’Aisi ne escono più confusi che persuasi. Il questore Megale, annotano gli inquirenti, dà prova di correttezza e respinge al mittente la richiesta di informazioni. Ma quella mancata rassicurazione fa scattare l’allarme rosso. 

A questo punto il generale Esposito avvia un tortuoso iter con vari passaggi comunicativi per fare arrivare in porto l’informazione. Come mai? Perché il numero uno dell’Aisi non ne parla direttamente con D’Agata, che in quel momento è un suo sottoposto proprio al servizio segreto civile? Se lo chiede anche la moglie di D’Agata che, intercettata in auto col marito, gli domanda: «Iddru (Esposito ndr) ciù cuntà a Schifani, si sapi ca Schifani parra cu tia no? Quindi ti sta mannannu a diri sti cosi praticamenti… ma pirchè non te le dice lui, ma ti manna a dici?». «Perchè non vuole che domani, se esce fuori sta cosa, è lui… dice io non gliel’ho detto», replica il marito.

La notizia che Montante e lo stesso D’Agata sono intercettati viaggia veloce da Roma a Palermo. E arriva sul tavolo di un ristorante di Mondello attorno al quale, il 31 gennaio del 2016, sono seduti Schifani e il professore Cuva. È l’ultimo passaggio prima di arrivare ai due diretti interessati che prendono le contromisure: numeri di cellulare intestati ad altri, bonifiche dei luoghi abitualmente frequentati, trasferimento in posti ritenuti sicuri di documenti compromettenti, uso esclusivo di Whatsapp. Cautele che mettono in seria difficoltà la squadra mobile di Caltanissetta, ma che non bastano a fermare un’inchiesta che contribuità a fissare i paletti della storia dell’antimafia siciliana dell’ultimo decennio.

Salvo Catalano

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