Minori in affido, 114 casi ma pochi stranieri trovano famiglia Purpura: «Incontrano resistenze perché non più bambini»

«Ogni minore ha diritto di crescere nella propria famiglia d’origine. Può accadere, però, che i genitori incontrino delle difficoltà. In questi casi, un aiuto è rappresentato delle comunità che non possono, tuttavia, sostituirsi a un nucleo familiare». Una soluzione coraggiosa, ma ancora poco conosciuta e diffusa, è rappresentata dall’affido familiare, come testimonia Paola Purpura, responsabile dell’unità organizzativa Affidamento familiare del Comune di Palermo. Una scelta virtuosa in grado di garantire ai più piccoli, provenienti da contesti difficili, la possibilità di ricevere le attenzioni e le cure di cui hanno bisogno, senza perdere il contatto con la famiglia d’origine. Una realtà, però, che stenta ancora a decollare, soprattutto per i ragazzi stranieri non accompagnati. A Palermo, infatti, in totale i minori in affido eterofamiliare sono 114, con un’età che varia dai 5-6 fino ai 17 anni. Nella maggior parte dei casi, si tratta di italiani (108).

Solo sei i minori provenienti da altri Paesi, un numero esiguo se rapportato al totale di quelli ospitati nelle strutture di accoglienza del Comune, circa 350. Una differenza dovuta sovente all’età, prossima ai 18 anni, che scoraggia le famiglie. E così questi minori trascorrono molti anni della propria infanzia e adolescenza all’interno delle strutture. «I bambini hanno una famiglia con cui hanno un legame affettivo molto forte – spiega – ma il supporto di cui hanno bisogno può essere fornito dalle famiglie in affido che li seguono nella crescita. Anche per i ragazzi stranieri non accompagnati si pensa che possa essere utile che qualcuno li affianchi e li aiuti a realizzare i loro progetti di vita, ma è difficile trovare famiglie disposte ad accogliere giovani prossimi alla maggiore età – rivela – Per i bambini piccoli c’è più disponibilità, i problemi sorgono per quelli dai 12 anni in su. In questo momento, ad esempio, ci sono due ragazzine della Costa d’Avorio, di 13 e 14 anni per le quali cerchiamo persone disposte ad accoglierle».

In alcuni casi, inoltre, i dubbi possono essere legati alle differenze culturali, un timore infondato perché l’affidamento spesso si rivela una ricchezza, non solo per i ragazzi ma anche per chi li accoglie. E nel frattempo, i rapporti con la famiglia d’origine sono curati dai servizi sociali del Comune che vigilano anche per capire quali progressi compie il bambino. L’affidamento familiare è una possibilità limitata nel tempo, non è un’adozione, perché i minori devono tornare nel nucleo d’origine, anche se i tempi spesso si dilatano. E non sono rari i casi in cui i ragazzi, raggiunta la maggiore età, decidono di continuare a frequentare la ‘nuova famiglia’. Ma come si diventa famiglie affidatarie? Il percorso è aperto ai single, alle coppie senza e con figli, e la famiglia affidataria avrà il compito di assicurare il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive, rispondendo dunque ai bisogni di cui necessita il minore. 

L’affidamento non rappresenta una sostituzione legale alla famiglia d’origine, ma un aiuto parallelo che supplisca alle funzioni. Non ci sono dei vincoli d’età, ma deve essere l’intero nucleo a condividere il percorso di avvicinamento all’affido. Le famiglie che presentano richiesta seguono un percorso di preparazione e formazione accompagnati dall’ufficio del Comune. «Si tratta di incontri che permettono alle persone di comprendere meglio le loro motivazioni e aspettative, e capire meglio a cosa si va incontro. Sono previsti anche riunioni con altre famiglie che hanno intrapreso lo stesso percorso. L’affidamento familiare è un istituto molto importante – sottolinea – e il Comune fornisce un piccolo contributo economico al mese e un’assicurazione per eventuali rischi». Per ulteriori informazioni il servizio affidamento del Comune si trova in piazza Noviziato, 20/a, telefono: 091.7408703/07/08 – 091. 6093203.

Antonio Mercurio

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