L’aria che si respira al Palazzo di Giustizia di Palermo è tesissima. C’è addirittura chi evoca l’atmosfera di ‘Cronaca di una morte annunciata’ di Gabriel Garcia Marquez. Le minacce del boss Totò Riina al pm Nino Di Matteo non lasciano presagire nulla di buono. Sia che si tratti di un ordine che il capo dei capi voleva fare arrivare ai suoi ‘picciotti’, sia che si tratti di un assist da fornire ad eventuali entità esterne alla mafia, così come ipotizzato dal Procuratore Capo, Francesco Messineo, l’allarme c’è ed è alto tra gli stessi magistrati della Procura di Palermo impegnati nelle inchieste sulle trattative Stato-mafia.
Che non si tratti delle ‘solite’ intimidazioni, lo conferma lo stesso Di Matteo, in una intervista su La7 (durante la trasmissione Linea Gialla), riportata in un passaggio da LiveSicilia.it: “Le minaccia è qualcosa che qualcuno pronuncia perché sa di poter intimorire il minacciato. In realtà queste non sono minacce. Totò Riina – dice il magistrato- è stato ascoltato, è stato intercettato mentre, inconsapevole di essere ascoltato, pronunciava prima delle parole rabbiose nei miei confronti ma poi dei veri e propri ordini di morte che cercava di far pervenire all’esterno. E’ qualcosa di diverso, di più rispetto a una minaccia tanto che la gravità delle parole che sono state intercettate ha indotto i procuratori di Palermo e di Caltanissetta a trasmettere immediatamente il testo e addirittura il sonoro della registrazione al ministro dell’Interno”.
E’ come se fosse scattata la fase operativa dell’intento criminoso. Non più rabbia e sfoghi folli, ma ordini o segnali precisi.
In questo contesto, che fa intravedere il rischio di rigettare Palermo e l’Italia intera negli anfratti della sua storia più buia, fa rumore il silenzio dello Stato. Un silenzio assordante che non può essere riempito né da qualche telefonata, come quella del Presidente del Senato, Pietro Grasso, a Di Matteo, né da una generica solidarietà ai servitori dello Stato espressa dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano:
“Siamo dinnanzi ad un silenzio agghiacciante da parte delle istituzioni- dice a LinkSicilia, Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e leader del Movimento Agende Rosse- dinnanzi ad espisodi del genere lo Stato doveva stringersi intorno a Di Matteo. Invece che fanno? Niente. Qualche generica e gelida espressione di solidarietà e poi il nulla. Guardiamo ai fatti: un ministro della Giustizia che dice di non sapere niente delle minacce del boss a un suo magistrato, e già questo è scandaloso.
Un ministro dell’Interno che non riesce a garantire la sicurezza a Di Matteo tanto da farlo rinunciare all’udienza a Milano in un processo di cui è il punto cardine. Che gli propone di andare in giro su un bomb jammer tanto per fare un po’ di sensazionalismo mediatico in conferenza stampa, quando sa benissimo che la praticabilità di questa ipotesi è tutta da verificare. Tutti gli altri tacciono.
La verità mi sembra una sola- aggiunge Borsellino- ovvero che lo Stato si è arreso alla mafia. E con il suo silenzio sta isolando Di Matteo. E tutti sappiamo cosa significa isolare un magistrato antimafia. La stessa sorte è stata riservata a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Sono stati isolati e poi assassinati”.
A Salvatore Borsellino, che il 20 non sarà a Palermo per la manifestazione di solidarietà della società civile a Di Matteo (ne sta organizzando una a Milano sempre lo stesso giorno) abbiamo chiesto anche un commento sul dibattitto che in queste ore infiamma il web: se Riina voleva fare arrivare all’esterno questa minaccia, allora significa che è stato un errore divulgare questa notizia?
Come ci ha ricordato un bravo ed esperto collega di cronaca giudiziaria -Peppino Lo Bianco- nei fatti di mafia non sempre vale la logica comune. Nei fatti di mafia non c’è mai bianco o nero. Le semplificazioni rischiano di fare perdere di vista molte cose.
Ma, sulla rete al momento, sono solo due, una bianca ed una nera, le risposte più frequenti: la prima secondo la quale è stato un errore pubblicizzare la notizia, perché è come avere dato voce a ciò che il boss voleva si sapesse.
La seconda, invece, ed è quella per cui propende Borsellino, è che la divulgazione della notizia possa contribuire a ‘proteggere’ Di Matteo:
“La domanda è difficile. Il fatto che la notizia delle minacce sia diventata pubblica è positivo se guardiamo alla reazione della società civile. Non ho mai visto così tanti cittadini stringersi intorno ad un magistrato in pericolo. E parlo con cognizione di causa. Per Paolo e per Giovanni non è stato così. Quindi mi sembra un miracolo già vedere una società civile così sensibile e così pronta a schierarsi apertamente al fianco di Nino Di Matteo.
Dall’altro lato- spiega Borsellino a LinkSicilia-certamente c’è da chiedersi se questo carcerato con cui Riina ha parlato dei sui intenti contro Di Matteo, non sia un provocatore. Cioè qualcuno messo lì proprio per provocarlo e fargli dire queste cose. Anche perché non capisco cosa possa temere dall’inchiesta sulla trattativa. Si tratta di un argomento complicato. Andiamo a toccare temi quali la fuga di notizie e come sono venute fuori. O, magari è stato solo un modo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su un allarme molto serio. Cosa che potrebbe pure essere plausibile considerando che non si pu0′ contare sulla giusta attenzione dello Stato”.
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