Militare vittima non riconosciuta di uranio impoverito Tra periti latitanti e una lotta di 14 anni contro lo Stato

«Mi stanno facendo una guerra, e so già che ne uscirò perdente». Sembra quasi un accanimento terapeutico al contrario, messo in atto nell’attesa, forse, che qualcosa (qualcuno) si spenga per sempre, portandosi dietro le sue domande e il suo casino, anziché un tentativo estremo di tenere in vita. Sono stati questo gli ultimi 14 anni di Lorenzo Motta, l’ex militare della marina militare affetto dal linfoma di Hodgkin. Patologia contratta a causa dell’esposizione all’uranio impoverito, a nanoparticelle di metalli pesanti che circolano nel suo sangue e per la somministrazione di vaccini senza criterio. Sa che è così, dalla sua infatti non ha solo l’esempio di nove altre storie, nove casi identici al suo cui lo Stato ha dato i riconoscimenti dovuti, ma anche una sentenza di primo grado del Tar Lazio che gli dà ragione e quella del Consiglio di Stato, la Cassazione civile per intenderci. «Casi analoghi conclusi da un pezzo, perché il mio invece va avanti da 14 anni?». Non c’è nulla infatti, ad oggi, che dichiari ufficialmente la sua patologia dipendente da causa di servizio, cioè che affermi in sostanza che a Motta quel linfoma sia venuto a causa di ciò a cui quelle missioni militari all’estero lo hanno irrimediabilmente esposto. Nulla, nessun un pezzo di carta. Anzi.

Il ministero della Difesa si rifiuta di uniformarsi ai due gradi di giudizio già espressi, motivo per cui Motta non ha esitato a fare ricorso per inottemperanza. I nuovi giudici che si trova di fronte, però, non si accontentano dei precedenti, delle storie simili, dei risultati già ottenuti e nominano un Ctu, cioè un consulente tecnico d’ufficio, un perito – che dovrà profumatamente pagare lo stesso Motta – che attesti l’eventuale nesso tra la patologia e le nanoparticelle, se esiste. Ricercando, per questo, i dettagli delle altre storie, fra centinaia e centinaia di casi, di esempi. «L’hanno complicata, continuano ad allungare i tempi, ma non ce ne sarebbe bisogno», dice il militare. Che intanto, a questa ennesima richiesta, non ha potuto non allinearsi. Ma sono tante le domande che lo tengono sveglio la notte. «Perché alcuni casi identici al mio si sono risolti senza l’accreditamento scientifico e a me invece viene chiesto? Su quali basi, su quali criteri non lo avete chiesto agli altri e a me sì? – si chiede -. Loro vogliono trovare un’attinenza, un nesso eziologico tra le patologie e le nanoparticelle, per gli altri linfomi di Hodgkin come le hanno trovate e spiegate? Devo essere io a dirlo, a fronte di centinaia di casi già riconosciuti? Forse sto sulle palle a qualcuno a Roma».

Vogliono le evidenze scientifiche. Ma quelle, Motta, le ha eccome. «Le mie ultime analisi mi danno un nesso di certezza, non di probabilità. Il mio medico legale, la dottoressa Rita Celli, lo scrive in maniera chiara, netta che quel materiale che mi circola nel corpo non si può prendere in un ambiente normale, neppure quelli dell’Ilva ce le hanno tutte le cose che ho io». Sono 27 i metalli pesanti evidenziati dalle ultime analisi che fa a settembre: c’è l’alluminio, l’argento, l’arsenico, lo zinco, il ferro, il nichel, il piombo, il rame, c’è persino l’oro, e ovviamente anche l’uranio. «Intanto mettono tempo su tempo, complicando giuridicamente e burocraticamente la faccenda, nominando un Ctu che non sa dove mettere le mani e che chissà se se la sentirà di andare contro lo Stato». Intanto, proprio il Ctu nominato ormai un anno e mezzo fa, e che ha già intascato da Motta 1.500 euro di acconto, latita. Non risponde alle e-mail, non risponde alle telefonate, sembra svanito nel nulla. Non si presenta neppure all’udienza davanti al giudice del Tar, sfumata la scorsa settimana in un nulla di fatto. Se non risponderà agli ulteriori solleciti del legale del militare, dovranno intervenire i carabinieri. È venuto il momento, insomma, che dia conto di come stiano procedendo i suoi accertamenti.

«Sto subendo un’ingiustizia, questo è il suo nome. Sono passati 14 anni e già nove patologie come la mia sono state riconosciute dipendenti da causa di servizio, con relativo riconoscimento di vittime del dovere e hanno un indennizzo – ribadisce -. Il Ctu non è stato nominato per analizzare me, ma per verificare se il nuovo parere emesso dal ministero della Difesa fosse attendibile. Dopo che chiedi questo, vuoi sapere quanti linfomi di Hodgkin sono stati riconosciuti, a chi, quando, a che età, tutto. Come si fa? E perché prima, per altri, tutto questo non è stato fatto?». Intanto, la situazione in fatto di missioni all’estero non cambia. «Oggi è tutto come allora, in quasi diciotto anni non è cambiato niente. i giovani militari continuano ad andare in missione inconsapevoli di tante, troppe cose. Di quello con cui entreranno in contatto, di quello che gli entrerà nel corpo, di quello che gli accadrà dopo». Lo sa bene lui, che è ormai un punto di riferimento per i numerosi ragazzi che lo cercano per avere chiarimenti, informazioni, conforto.

«Viviamo in un contesto che, se ci ammaliamo o moriamo, non sappiamo nemmeno a chi rivolgerci. Nell’ambiente anche i superiori non sanno nulla, non sanno cosa dire, ognuno dice una cosa, io ormai studio la materia da 14 anni e conosco ogni cavillo, ma non si può andare avanti così. Sono stanco, la gente mi chiama da ogni dove, molti sono ragazzi, non sanno nemmeno cos’è una causa di servizio, alla fine si finisce sempre dentro ai tribunali. Mentre pochi giorni fa è morto un mio ex compagno di stanza». Una situazione insostenibile, paradossale. Non si viene informati prima e, nei casi peggiori, neppure dopo, a cose fatte. «Siamo solo numeri e nessuno ci vuole ascoltare, c’è troppo interesse economico dietro, questo è. Ho scritto a tutti i ministri, ai sottosegretari, ai funzionari del caso, se rispondono promettono tavoli tecnici ma qua c’è gente che giornalmente cade come le pere e muore. Mentre chi rimane vivo resta solo, senza risposte, senza niente. Abbiamo marescialli che nemmeno sanno leggere, come ci si affida a queste persone?». Eppure, in mezzo a periti latitanti, accanimenti antiterapeutici e uno Stato sordo che sembra divertirsi a perdere tempo, a ingarbugliare, a procrastinare, una buona notizia c’è. Si chiama «protocollo Montilla», dal nome dell’oncologo della clinica Sant’Anna Hospital di Catanzaro che lo ha messo a punto. Un protocollo disintossicante che disancora tutte le nanoparticelle presenti nel corpo. «Già con due ore di infusione ho meno dolori alle gambe».

Ogni seduta costa a Motta 200 euro, e il primo test, detto provocativo, sfiora i 480. E per sottoporsi al trattamento deve recarsi sempre a Catanzaro. «Molti militari si stanno avvalendo di questo protocollo e come me hanno già dei benefici, le nanoparticelle se ne vanno via attraverso le urine. Le mie analisi, che all’inizio erano spaventose, dimostrano con certezza matematica che i miei dolori alle gambe dipendono dalle nanoparticelle. Vado avanti per la mia rabbia e per aiutare chi si trova nelle mie stesse condizioni – dice -. L’obiettivo principale della mia vita è questa causa, è una questione ormai di principio. E continuo finché sono vivo, malgrado le porte sembrino tutte chiuse».

Silvia Buffa

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