La vicenda dei soccorsi in mare ai migranti da parte delle Ong si arricchisce di nuovi risvolti. Stando a quanto emerso al processo contro due presunti scafisti, in corso alla Corte d’assise a Palermo, Msf non ha fornito i report relativi all’intervento umanitario del 5 agosto del 2015. A seguito del naufragio nel Canale di Sicilia morirono 25 persone. E in quella circostanza ad aiutare le 600 persone a bordo di un peschereccio, poi affondato, era stata anche Dignity One, la nave della Ong al centro di un’inchiesta della Procura di Trapani.
La difesa di uno degli imputati aveva chiesto i nomi dei comandanti delle navi di Msf che intervennero, ma anche i nomi e il numero dei migranti salvati e le richieste di soccorso ricevute quel giorno, oltre alle registrazioni delle conversazioni. L’avvocato ha ottenuto il materiale chiesto alla Guardia costiera ma si è vista respingere l’analoga richiesta avanzata a Msf. Dopo tre mesi Medici senza frontiere avrebbe comunicato poi, attraverso il legal advisor, che l’organizzazione umanitaria non avrebbe condiviso nessuna informazione e nessun documento senza una richiesta formale del giudice.
Intanto Gabriele Eminente, direttore generale di Msf Italia, nel corso di un’audizione stamani in Commissione migranti ha spiegato che l’aumento che si è determinato dell’attività di soccorso in mare da parte delle navi delle Ong è dovuto a una sorta di «effetto dei vasi comunicanti», cioè a un riequilibrio i soccorsi operati dalle navi mercantili e quelli delle navi delle ong. Premesso che «le ong loro malgrado sono costrette a intervenire per riempire un vuoto» nelle operazioni di soccorso in mare, oggi, ha detto Eminente, le ong si sono sostituite alle navi mercantili». E questo anche perché le imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie come ad esempio Msf sono dotate a bordo di attrezzature medico-sanitarie utili a un primo aiuto ai naufraghi. «Se partisse un efficace meccanismo di ‘mare nostrum’ europea, noi ci fermeremmo» ha precisato Eminente, che ha anche affermato di non essere a conoscenza «di situazioni di altre ong che configurino una qualche opacità». Infine, ha ribadito che «il soccorso in mare avviene sotto lo stretto coordinamento della guardia costiera italiana» e che «tra le più di 300 operazioni di Msf di soccorso in mare, sono state cinque quelle in cui abbiamo operato in acque libiche. Sempre sotto coordinamento delle autorità preposte».
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