L’arrivo era previsto intorno alle 8 di stamattina, ma la nave Diciotti, della Guardia costiera italiana, ha anticipato l’ingresso al porto di Catania di circa un’ora e mezza. A bordo ci sono 934 migranti, di cui oltre 200 minori, in gran parte (167) senza genitori o parenti. Dopo le due donne incinte fatte evacuare ieri dalla nave e portate prima al poliambulatorio di Lampedusa e poi a Palermo, ci sono ancora donne gravide che hanno necessità di assistenza. Alcune di loro vengono portate via in ambulanza. Dall’imbarcazione scendono anche due corpi senza vita, avvolti in appositi sacchi. Dovrebbero essere quelli di un uomo e di una donna morti per denutrizione. Ai piedi della scaletta ad attenderli ci sono le bare e i carri funebri. Quando gli operatori li portano giù, sulla nave si fermano tutti, a rispettare nel silenzio l’ultimo pezzo di viaggio di chi, a differenza loro, non ce l’ha fatta.
C’è una calca come non si vedeva da tempo stamani al molo etneo. Giornalisti provenienti da tutta Europa per immortalare questi disperati – provenienti per lo più dall’Africa sub-sahariana, soprattutto Somalia, Eritrea e Gambia – che sono i primi a toccare suolo italiano da quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato guerra agli arrivi. Per ora in realtà a quelli targati Ong. La nave Aquarius, dopo la chiusura dei porti decisa dal governo Conte, sta facendo rotta verso Valencia. E stamattina, insieme ai giornalisti, c’erano gli attivisti della Rete Antirazzista che hanno cercato di farsi sentire dai migranti, urlando e megafonando slogan: «Rispettare il diritto del mare», hanno ripetuto a gran voce, srotolando striscioni e sventolando bandiere. Alle spalle della nave Diciotti, sul molo opposto, un altro gruppetto ha esposto la scritta: «Stop the attack on refugees».
Tanti i bambini che scappano al controllo dei genitori e degli operatori della Croce Rossa e corrono tra i gazebo sul molo. Il più piccolo, di tre mesi, sta in braccio alla sua mamma. «In queste situazioni – spiega Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the children – sono i più vulnerabili, i primi che muoiono in condizioni di tragedie, naufragi. Bambini adolescenti hanno vissuto una serie di violenze, di orrori indicibili, di schiavitù». Altri orrori li hanno raccontati Fiore Kenfa, giovane eritrea di 24 anni, e Fassiuta Giomande, donna ivoriana di 41, le due donne incinte che ieri sono state portate a Palermo.
«Noi in Africa non abbiamo speranze, non abbiamo futuro – ha detto Fiore parlando in arabo con Nadia, mediatrice culturale dell’Asp -. Per questo siamo disposti a tutto pur di avere una possibilità». Come ricostruisce l’Ansa, per raggiungere il compagno Fiore ha lasciato il suo villaggio tre anni fa. Prima è andata a lavorare in Sudan, dove è stata violentata. Poi è partita per la Libia. Qui ancora violenze. «Sono stata segregata dentro una casa come una schiava, venivamo controllate con le telecamere. Non potevamo fuggire. Dovevamo solo lavorare». Qui la donna resta incinta. Al Civico di Palermo il pasto portato dalle infermiere rimane sul tavolino. «Non ho fame – ha spiegato – sono molto stanca. Spero che adesso qualcuno mi aiuti, anche per la bambina che sta per nascere».
Il pensiero di Fassiuta Giomande va ai figli lasciati in Costa d’Avorio. «Qualcuno penserà forse che non sono una buona madre, ma io sono partita proprio per loro, per garantirgli un futuro migliore. Mi mancano molto, spero di poterli riabbracciare presto, di fargli conoscere il fratellino che sta per nascere, di vivere una vita dignitosa insieme ai miei figli. Chiedo troppo?».
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