Migranti in Sicilia, 113mila permessi di soggiorno «Più attivi degli italiani nella ricerca di un lavoro»

«Al primo gennaio del 2016 le persone con permesso di soggiorno in Sicilia risultavano 113.474». È uno dei dati più interessanti che viene fuori dal IV Rapporto Migrazioni in Sicilia 2016, diffuso dall’Osservatorio Migrazioni dell’Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe. I numeri parlano chiaro: l’Isola rappresenta più terra di passaggio che di permanenza. La quota siciliana rappresenta infatti «il 2,9 per cento dei permessi di soggiorno a livello nazionale». A chiedere i permessi sono più gli uomini (60 per cento) che le donne, con una crescita delle richieste negli ultimi otto anni di oltre l’80 per cento.

«I minori presenti in Sicilia al 1 gennaio 2016 sono 35.365 e costituiscono il 19,3 per cento della popolazione straniera residente nella Regione»: la presenza degli under 18 insomma rimane significativa, anche se in leggero calo rispetto agli anni passati. A differenza dei maggiorenni, infatti, funziona ancora molto a rilento il piano di redistribuzione sul territorio nazionale dei minori non accompagnati che sbarcano sull’isola. 

Il rapporto affronta poi una serie di questioni aperte sulle condizioni di vita di chi in Sicilia decide, spesso suo malgrado, di viverci. Sulla questione abitativa ad esempio diventa sempre più complicato «per l’immigrato l’acquisto della casa, che generano grandi difficoltà nell’accesso all’affitto», soprattutto «per il perpetuarsi della crisi economico-finanziaria. Gli immigrati, infatti, sono i gruppi sociali più deboli colpiti dalla crisi e le difficili situazioni in cui si trovano tendono ad acuire le forme di conflitto tra gruppi etnici differenti». 

Per questi motivi sono molti gli stranieri che sono costretti a sovraffollamenti abitativi, in alloggi anche in cattivo stato di conservazione, o che debbono occupare alloggi di fortuna. «I cittadini stranieri – si legge ancora nel report – presentano una partecipazione al mercato del lavoro maggiore degli italiani, circostanza generata sia dalla composizione per età della popolazione, sia dalla maggior esigenza di mantenere attivo un permesso di soggiorno (vincolato spesso proprio all’attività lavorativa) o, ancora, non potendo fare affidamento sulle reti sociali locali di cui possono usufruire i nativi».

Di migrazioni poi spesso si parla rispetto al sistema dell’accoglienza. Un tema ampiamente affrontato dal report dell’osservatorio, soprattutto in merito al modello che più si va diffondendo nell’Isola. «L’approccio hotspot – scrive l’esperto di migrazioni Fulvio Vassallo Paleologo – così come è stato realizzato in Sicilia è sostanzialmente volto a concentrare gli arrivi dei migranti soccorsi in mare in una serie di porti di sbarco selezionati dove effettuare tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la preidentificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici. I principali porti di sbarco sono stati Augusta (Siracusa), Pozzallo (Ragusa), Lampedusa e Porto Empedocle (Agrigento), Trapani, Palermo, Messina»

Fin qui il lato più descrittivo. Poi Vassallo denuncia che la selezione tra i cosiddetti migranti economici ed i richiedenti asilo, che da tempo viene già praticata nelle prime fasi dell’approdo nei porti, è «una procedura sommaria» e «priva di una base legale». Le condizioni dei cinque centri siciliani in cui viene effettuato l’approccio hotspot (fuori dalla Sicilia, così come previsto da una roadmap ministeriale del 2015, l’unico altro centro è Taranto) sono molto simili: sovraffollamento, spazi angusti e fatiscenti, promiscuità tra generi, religioni ed etnie differenti, tempi di permanenza molto più lunghi del dovuto. Per Vassallo l’unica soluzione, confermata anche da recenti pronunciamenti della Corte di Straburgo, è la chiusura degli hotspot e una loro riconversione alla funzione originaria di centro di primo soccorso ed accoglienza, con una permanenza massima di 48-72 ore, in attesa del trasferimento nel sistema di seconda accoglienza. 

Andrea Turco

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