«Su 80 persone ospiti del centro, togliendo i neonati e le bambine, tutti hanno subito violenza di vario tipo. Da quella sessuale, morale, psicologica alle torture: nessuno passa indenne dalla Libia». Parole, quelle di Chiara Lo Piccolo, responsabile del CasPa 4 San Francesco, che da sole riportano alla realtà chi le ascolta, riportano un po’ di umanità e comprensione: «Mi capita di incontrare gente – racconta Chiara – che esprime le solite opinioni sul fatto che i migranti ci rubano il lavoro o che vanno a loro risorse che potrebbero essere impiegate per gli italiani che stanno peggio. Io rispondo raccontando le storie della Libia e lì i toni un pochino di abbassano: storie di torture, di violenza fisica, psicologica, morale. Di morte. Alcuni ragazzi raccontano che hanno visto morire davanti a loro alcuni coetanei senza alcun motivo. Gli dicono alzatevi, indicandoli, e gli sparano».
Chiara ripercorre le vicende di famiglie, uomini e donne. Vengono da Tunisia, Marocco, Libia, Camerun, Nigeria, Costa D’Avorio. Destini che a volte si incrociano qui per caso: «Loro non vogliono restare – afferma – è come se fossero di nuovo in prigione, sebbene non alle condizioni che vivevano prima. Alcuni tentano di scappare per raggiungere altri Paesi ma sono costretti a farlo in situazioni di pericolo». La parte peggiore non è la situazione da cui partono, riferisce la responsabile – ma il periodo di permanenza in Libia. Non tutti sanno a cosa vanno incontro. Anche in Africa può capitare che vengano in contatto, come lo chiamiamo noi, con l’amico meraviglioso che magari gli propone di andare in un Paese piuttosto che in un altro perché lì c’è lavoro o un loro parente che glielo può offrire e poi si ritrovano tutti in Libia a dover passare un periodo in prigione».
Il centro di accoglienza si trova a Ballarò, teatro di forti spinte multiculturali, ma dove al contempo resistono sacche di intolleranza. Alcuni ospiti del centro, racconta la responsabile, sono stati aggrediti: «Un’aggressione è avvenuta proprio a Ballarò. Ci sono stati due mesi un po’ più movimentati ora la situazione sembra rientrata anche grazie ad associazioni come Sos Ballarò, presente nel quartiere. Sono venuti da noi anche per fare una giornata di sensibilizzazione, per parlare con i nostri ospiti. Ce ne sono altre realtà simili come Arci Porco Rosso e Moltivolti ma non è tutto rose e fiori».
Un clima di tensione percepito anche dal vice-responsabile del Cas Vincenzo Pecoraro: «Qui nel quartiere ci sono stati diversi attacchi nei confronti dei migranti. Abbiamo vissuto un momento di tensione dovuto all’irrigidimento dei toni, alcuni ragazzi ospiti del centro sono stati aggrediti negli ultimi mesi per futili motivi e hanno denunciato tutto. Forse l’immagine che circola degli immigrati visti come un problema di sicurezza, il fatto che questo governo non li vuole, ha fatto scattare un meccanismo per il quale le persone si sentono autorizzate a compiere questi gesti. Come a dire “Loro sono qui, ma non sono dei nostri”». In più gli aggrediti «tentavano quasi di giustificare questi gesti – aggiunge Pecoraro -. hanno sempre percepito una forma di razzismo latente da parte di alcune persone ma prima questo non sfociava in queste forme così aggressive. Magari succedeva qualcosa o scoppiava una lite nella quale scappava una parola discriminate, come ad esempio sporco negro o turco. Oggi invece si passa all’azione come nel caso di Partinico». I ragazzi vedono il Cas come un luogo che li protegge, «questo emerge tantissimo nei colloqui. Il problema è quando escono fuori da qua». I loro luoghi di integrazione sono la scuola o attività legate a progetti come il recupero scolastico o sartoria sociale.
Ma non c’è solo quella città: «A Palermo c’è stato un segnale diverso – continua Pecoraro – il sindaco è venuto a trovare i migranti ed è stato creato un ufficio per le discriminazioni. Questa terra ha conosciuto la disperazione e la fame quindi c’è solidarietà in questo senso. Le istituzioni sono state presenti come alcuni semplici cittadini. Qui abbiamo pure nuclei familiari, neonati. Tantissime persone ci hanno regalato culle, passeggini, vestitini».
Le necessità principali – dicono dal centro – a cui si dovrebbe fare fronte sono i tempi di attesa dei documenti e il fatto che loro si possano presentare al più presto davanti alla commissione territoriale. «Il tempo che loro impiegano per le pratiche burocratiche arriva fino a 16 mesi – conclude il vice-responsabile – oggi ci sono delle accelerazioni e diminuiscono i tempi di attesa anche perché ci sono meno sbarchi e recentemente hanno indetto un concorso per nuovi commissari. Anche in questo senso c’è stato un inasprimento nel rilascio delle protezioni. Stiamo ricevendo continui dinieghi cosa che porta i migranti a ricorrere al tribunale ordinario prolungando la permanenza qui per altri mesi».
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