E la chiamano accoglienza: attese lunghe anni per avere un documento, senza informazioni, senza acqua o quando c’è è putrida, senza vestiti nè coperte. A denunciarlo sono centinaia di migranti che risiedono in alcuni dei Centri di accoglienza straordinaria della provincia di Palermo. Insieme all’ausilio degli attivisti dell’Arci di Palermo, hanno scritto una lettera indirizzata a prefettura e questura e, più in generale, ai cittadini italiani. Per far conoscere le condizioni in cui sono costretti a vivere. Con la continua paura di ritorsioni. Tanto da non poter fare riferimento ai singoli Cas.
Dopo lunghi e penosi viaggi si trovano ammassati, senza alcuna considerazione per le rispettive storie e le singole nazionalità. Vengono da diversi Paesi: Gambia, Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Guinea Conakry, Sierra Leone, Bangladesh «ma oggi la nostra voce è una sola». Si dicono «grati di essere stati accolti dall’Italia» ma allo stesso tempo devono affrontare una nuova e difficile esistenza. «Siamo andati via – scrivono – per fuggire dalla sofferenza e veniamo in questo paese per trovarne di nuova, anche se è un altro tipo di sofferenza: c’è un qualche ragionamento distorto alla base di questo».
I luoghi dove risiedono sono ex hotel o casolari riconvertiti, comunque «spesso in posti completamente isolati». Lontano dalle città e senza un impiego, vivono in un limbo dove la parola stregata è attesa: «I tempi per avere i nostri documenti sono infiniti. In questi tempi lunghi non sappiamo cosa aspettarci e siamo molto confusi sulla nostra condizione». Ci vogliono mesi prima di riuscire a fissare un appuntamento in questura per la richiesta d’asilo. Anzi «a molti non viene neanche spiegato cosa sia, l’asilo». La persistente incertezza dovuta alla lentezza burocratica provoca in molti forme di stress. Che li fa persino rimpiangere ciò che hanno lasciato: «Nei nostri paesi avevamo tanti problemi, ma almeno sapevamo cosa dovevamo affrontare. Il non sapere è terribile». Se chiedono chiarimenti capita persino che «in alcuni casi veniamo anche minacciati: ci dicono che non avremo i nostri documenti se continuiamo a lamentarci».
E poi ci sono le condizioni di vita quotidiane, spesso «degradanti per la persona umana». In uno dei Cas l’acqua è sempre fredda o, peggio ancora, «putrida e maleodorante, non va bene neanche per gli animali». Inoltre non c’è la possibilità di «cucinarci da noi». In un altro centro non viene fornito neppure l’abbigliamento, e i vestiti che i migranti indossano o sono quelli con cui sono arrivati in estate o quelli «dati da altri fratelli che erano nel centro da prima di noi». Adesso che l’inverno è alle porte e le temperature si sono abbassate, capita di dover restare in infradito. Alcuni hanno segnalato il freddo e l’assenza di riscaldamento ad una pattuglia di polizia, durante i controlli alla struttura. «C’è stato risposto che in Africa non abbiamo il riscaldamento – continua la lettera. A chi rivolgersi per segnalare delle ingiustizie?».
I migranti però non si limitano a segnalare i disagi. E nella sofferenza riescono a trovare pure la forza per ironizzare. «Chi è stato portato direttamente dal porto – scrivono – pensa che la Sicilia sia tutta boschi, tanto sono isolati alcuni di questi centri, e gli unici italiani che ha mai visto sono gli operatori». Invece loro vorrebbero vivere, liberi e almeno liberi da questo tipo di accoglienza. «Vogliamo studiare, vogliamo lavorare, vogliamo parlare con la gente, vederla quantomeno. Qui siamo invisibili. Abbiamo tante cose da fare, siamo giovani e dobbiamo continuare a vivere, non possiamo sprecare le nostre vite qui ad aspettare».
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