Report riassuntivi da compilare dopo ogni sbarco, ma nessuna fattura. Si basavano su questo le richieste di rimborso che la prefettura di Ragusa riceveva dal centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) – poi divenuto hotspot – di Pozzallo, finiti al centro dell’inchiesta della Procura iblea che vede indagati sei dipendenti comunali, di cui uno nel frattempo deceduto. A dirlo è la convenzione stipulata a settembre 2011 tra il Comune e l’organo rappresentativo del ministero degli Interni.
I documenti erano gestiti dai responsabili della struttura e contenevano informazioni in merito alle prestazioni sanitarie fornite, la quantità di personale impiegato e, soprattutto, i beni acquistati e distribuiti ai migranti arrivati nel porto ragusano. Modelli che, secondo la Guardia di finanza, sarebbero stati alterati con il chiaro intento di ottenere risorse economiche superiori alle spese affrontate, soldi che sarebbero poi stati usati dagli uffici comunali per finalità che nulla avevano a che vedere con i migranti. Dalla sistemazione della palestra al pagamento degli straordinari, passando per la manutenzione del parco mezzi comunale.
«Le somme ottenute finivano in un primo momento nei capitoli di bilancio legati alla gestione dell’hotspot, per poi da lì essere trasferiti in altri relativi alla gestione ordinaria dell’ente – spiegano gli investigatori -. A dirlo è stata anche la Corte dei conti, sottolineando come questo genere di movimenti non possa essere compiuto». L’inchiesta – che ha preso in considerazione il biennio 2013-14 ed è partita dopo che era stato scoperto un furgone che trasferiva in una pista di motocross i materassini destinati ai migranti – sostiene l’ipotesi per cui ad aver operato illecitamente sarebbero stati soltanto i burocrati del Comune ai quali era stato dato l’incarico di gestire il centro d’accoglienza senza il coinvolgimento di terzi. «L’indagine riguarda chi ha firmato gli atti – continuano gli investigatori -. Se la giunta ne era a conoscenza? Non possiamo stabilirlo».
La mancata necessità di produrre fatture per ottenere i rimborsi avrebbe permesso, inoltre, che il sistema illecito funzionasse senza il coinvolgimento di imprese compiacenti. «Abbiamo ricostruito i registri contabili e quelli del magazzino – proseguono le Fiamme gialle -. Non è stata ipotizzata la complicità di aziende fornitrici, perché di fatto le fatture non venivano chieste». Come dire che la prefettura avrebbe fatto affidamento sulla buona fede dei gestori del centro, che invece, dal canto loro, avrebbero agito in maniera diversa trovandosi oggi accusati di truffa e frode sulle forniture pubbliche. Come nel caso della carta igienica: a fronte di una richiesta di rimborso per 50mila rotoli, il Cpsa ne avrebbe acquistati soltanto 700.
A riguardo la prefettura di Ragusa, che nell’inchiesta compare come parte lesa e che secondo la convenzione avrebbe avuto la possibilità di effettuare controlli speciali nel centro, non entra nel dettaglio. «Parliamo di convenzioni superate – commentano -. Come venivano fatti i controlli? Di certo non ci si basava sulle parole, ma su documenti che arrivavano». Tuttavia, nessun chiarimento viene concesso in merito alla necessità di presentare o meno le fatture.
Chi invece è sicura di aver agito nella legalità è l’amministrazione comunale di Pozzallo. A partire dal vicesindaco e assessore al Bilancio Francesco Gugliotta. «Non conosco le carte dell’indagine, ma trovo irreale sostenere che abbiamo usato fondi per i migranti per ristrutturare una palestra – dichiara al telefono -. Il Comune ha beneficiato di due indennizzi da 500mila euro ciascuno, pattuiti con il ministero». L’indagine, però, riguarda altro, ovvero i soldi che dovevano finire dentro il Cpsa e che invece avrebbero preso strade diverse. «Mi viene da pensare alle volte in cui abbiamo anticipato somme durante le emergenze», aggiunge Gugliotta.
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