Mignemi, ingegnere visionario Denunciò lo scandalo San Berillo

«C’è un signore a Catania che da qualche tempo si è messo a protestare. Si è guardato intorno, ha osservato determinate cose che secondo lui non funzionavano bene e ha deciso di partire, lancia in resta, in una crociata di moralizzazione della vita pubblica cittadina che non esclude nessuno, sindaco e assessori, agenti di tasse e magistrati, onorevoli e impiegati del Comune. Ha fondato un giornale e un partito ai quali ha dato lo stesso nome. Così dal 15 novembre 1965, giorno in cui è apparso il primo numero, i catanesi aspettano con curiosità, alcuni anche con ansia, l’uscita del giornale».

È il gennaio del 1966 e la rivista nazionale di costume e politica, ABC, presenta così lo strano caso dell’ingegnere Giuseppe Mignemi. L’uomo che aveva osato squarciare il velo che gravava su quella che il professor Mario Caciagli, nel libro Democrazia Cristiana e potere nel mezzogiorno, ha definito «la più grande operazione speculativo-finanziaria mai realizzata a Catania»: lo sventramento del quartiere di San Berillo. Mignemi, a capo di una commissione di collaudo nominata dal Comune, si rende conto del danno economico che si sta perpetrando ai danni della collettività e, anziché far finta di niente come tanti altri, inizia a fare nomi e cognomi ad alta voce. A scriverli sul suo giornale, Il nuovo partito popolare. Ad andare in giro per la città a denunciare la truffa, coperto dalla testa ai piedi da enormi cartelloni. «Tangentopoli nacque a Catania con trent’anni di anticipo – ci racconta seduto al tavolino di un bar del centro – E io mi intestardii nel voler capire come avevano fatto ad organizzare un delitto perfetto, di cui nessuno si era accorto».

Ma ripercorriamo la storia della battaglia isolata di quest’uomo che lo porterà a denunciare alla procura della Repubblica il sindaco Luigi La Ferlita e alcuni assessori della sua giunta. L’accusa è di peculato per distrazione di due miliardi e mezzo di lire in favore della società Istica (Istituto immobiliare di Catania), concessionaria dei lavori, e ai danni del Comune. Nel frattempo tutto sembra andare contro Mignemi. «Al giornale avevo un vicedirettore che si chiamava Salvo Barbagallo – racconta – Dopo qualche mese La Sicilia per ripicca lo assunse e io non trovai più nessuno disposto a prendere il suo posto». Identiche difficoltà si succedettero anche durante la battaglia legale. «La classe forense catanese si rifiutò in blocco di accusare il Comune». Mignemi perde la qualifica di ingegnere; poi, il 5 febbraio del 1965, arriva anche il carcere: 36 giorni nell’istituto penitenziario di piazza Lanza per calunnia nei confronti di Antonino Drago, l’allora segretario provinciale della Democrazia Cristiana. E anche in questo caso Catania non muove un dito. «La Sicilia parlò del mio arresto in prima pagina, ma anche in quel caso non mi diedi per vinto. Di solito stavo in isolamento, ma trovai il modo di conoscere i detenuti, confrontarmi con loro, insegnare loro a non dipendere dagli avvocati. In un mese li resi consapevoli dei loro diritti».

Un uomo solo contro un sistema di potere granitico. «Catania è anomala, partecipa poco alle battaglie fatte nel suo interesse e accusa di protagonismo chi se ne fa promotore. Pecca di malpensiero e si trattiene dall’essere solidale. Poi, alla fine, si ricrede». L’ingegnere Mignemi è abituato a sviscerare date, nomi e cifre a memoria. Ma ricordando la reazione fredda della città alla sua battaglia, l’esuberanza si spegne. Gli occhi chiari, circondati da infinite piccole rughe, guardano altrove. Ma è solo un attimo, seguito da un sussulto d’orgoglio. «Ancora oggi mi salutano tante persone per strada. Sono consapevole di essere un personaggio, ma se sono riuscito a portare davanti al giudice un’intera giunta comunale, il merito è sicuramente della mia formazione». Degli anni di studio al Politecnico di Milano.

Ma qual è precisamente l’accusa  che Mignemi muove all’amministrazione? Nel giugno del 1956 il sindaco La Ferlita e la sua giunta firmano la concessione dell’immensa opera di abbattimento e ricostruzione all’Istica: 1milione 800mila metri cubi di cemento su un’area di 240mila metri quadri, mentre i residenti del vecchio San Berillo verranno trasferiti in un nuovo quartiere residenziale. Quello che diventerà successivamente il quartiere San Leone. La svolta arriva nel gennaio del 1965, quando l’ingegnere Mignemi, a capo della commissione di collaudo di un gruppo di opere realizzate dall’Istica, afferma che, per una serie di conteggi inesatti contenuti nel piano economico finanziario, il contratto di concessione rappresenta per il Comune una perdita valutabile intorno a 30 miliardi di lire. L’ingegnere, allora, interrompe il collaudo, invia una relazione al sindaco, poi un rapporto alla Procura della Repubblica, poi altri due rapporti sempre alla Procura, quindi, dopo aver raccolto nuovi dati e compiuto nuovi accertamenti, trasforma i tre rapporti in una denuncia ai danni del Comune.

Il 15 novembre 1965 sul suo giornale titola: «Esplode a Catania lo scandalo degli scandali. Un complesso caso di corruzione, peculato e truffa per 40 miliardi. Coinvolti nella vicenda almeno un sindaco, decine di persone e due società immobiliari d’importanza nazionale».

«Con 7mila lire stampai mille copie – spiega Mignemi – Il primo numero andò a ruba e feci tre ristampe». Ma l’ingegnere si aspettava reazioni differenti. «Ero convinto che avrebbero fermato i lavori, invece nell’immediato non successe nulla». Il processo, poi, fu un calvario. «In quegli anni il Csm cambiò tre volte il procuratore capo, mentre i pm che si alternarono furono addirittura cinque». In primo grado gli imputati vengono condannati a pene tra 4 e 5 anni di carcere, ma verranno poi assolti in appello.

Oggi l’ingegnere Giuseppe Mignemi ha superato gli ottant’anni e fa il pensionato, ma non ha messo da parte lo spirito battagliero. E, soprattutto, è rimasto un visionario. Tre anni fa ha brevettato il progetto di un’autostrada galleggiante, l’ideale – secondo lui – per unire Sicilia e Calabria. E l’ha anche presentato alla Regione. Altro che ponte.

È un convinto sostenitore dell’indipendenza della Sicilia, ma nel frattempo, in tutti questi anni non ha mai perso di vista la battaglia di una vita. Quella sul quartiere San Berillo. Ha accumulato carteggi e documenti, anno dopo anno, fino ad arrivare all’accordo siglato il 16 novembre di quest’anno tra il Comune e i privati proprietari delle aree di Corso Martiri della Libertà, Istica in primis. E ora aspetta con sospetto e diffidenza che le ruspe, dopo 56 anni, accendano nuovamente i loro motori.

 

[Foto di mauroppi]

Salvo Catalano

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