Fabrizio Miccoli è stato condannato in appello a 3 anni e sei mesi per concorso esterno in estorsione aggravata. Questa la decisione del giudice della quarta sezione penale che ha emesso, dopo circa tre ore di camera di consiglio, la sentenza di secondo grado nei confronti dell’ex bomber rosanero. Una condanna, quella di oggi, che ricalca quella emessa in primo grado nel 2017. Secondo l’ipotesi messa in piedi dall’accusa l’ex calciatore si sarebbe avvalso dell’amico Mauro Lauricella, figlio del boss della Kalsa Antonino u scintilluni perché intenzionato a recuperare il credito vantato da Giorgio Gasparini, ex fisioterapista del Palermo, nei confronti di Andrea Graffagnini, l’agente dei vip. I due, infatti, Gasperini e Graffagnini, erano stati soci insieme della discoteca di Isola delle Femmine I Paparazzi. Miccoli sarebbe stato una sorta di tramite, ma per l’accusa rivolgendosi proprio a Lauricella avrebbe tentato di innescare precise forme di risoluzione tipiche delle cosche mafiose.
Ricostruzione dalla quale l’ex calciatore ha però sempre preso fortemente le distanze. Per Mauro Lauricella, processato a parte insieme a Gioacchino Alioto, il reato è stato riqualificato nel meno grave di violenza privata in primo grado. Mentre in appello la condanna è salita a sette anni: il giudice, accogliendo la richiesta del pm, ha riconosciuto in secondo grado anche l’estorsione aggravata. Sentenza, questa, che l’accusa aveva chiesto di acquisire nel processo Miccoli. Rigettata però stamattina dalla Corte. «La procura sin dall’inizio ha tentato di giocare su un doppio binario, un doppio processo – ha detto in aula anche l’avvocato difensore Giovanni Castronovo -. Ma si tratta di procedimenti diversi, andare a raccontare l’esito della vicenda Lauricella non ha alcuna incidenza su questo caso. Non credo debba entrare in questo procedimento. Non è necessaria ai fini della decisione». Si parla di una sentenza, del resto, neppure passata in giudicato. Sempre secondo la difesa, Miccoli avrebbe subito in questi anni un vero e proprio ergastolo mediatico. Dovuto in parte a questa vicenda, in parte alle esternazioni del calciatore nei confronti del giudice Giovanni Falcone, che apostrofò come un fango, che all’epoca suscitarono parecchia indignazione anche da parte dei suoi più affezionati tifosi.
Secondo gli avvocati, inoltre, il fatto, come ricostruito dalla procura, non sussisterebbe. Non ci sarebbero mai state minacce per recuperare quel credito né un presunto ingiusto profitto. Hanno infatti più volte spostato l’attenzione sul fatto, ad esempio, che la presunta parte offesa, cioè l’agente Andrea Graffagnini, non si sarebbe mai interessato ai filoni processuali innescati dalla vicenda, non costituendosi tra le altre cose neppure parte civile. Oppure, puntando anche su un altro aspetto della vicenda processuale: quella per cui, due anni fa, il pm Maurizio Bonaccorso (oggi alla procura di Caltanissetta), che si occupava del caso, aveva chiesto l’archiviazione per Miccoli. Ipotizzando, piuttosto che il reato di estorsione, quello dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Due reati che si distinguono fra loro non per la materialità del fatto, piuttosto per l’intenzionalità che, a prescindere dalla portata delle intimidazioni, si trasforma in estorsione solo quando si cerca di attuare una pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria. Dopo il rigetto del giudice, però, l’accusa è tornata a cavalcare l’impianto originario, sino a chiedere e ottenere, con un altro magistrato incaricato del caso, la condanna di Miccoli in primo grado. Il suo contributo alla realizzazione del reato, secondo il giudice, sarebbe stato «variegato e reiterato».
«Miccoli è stato condannato solo per la frase offensiva proferita nei riguardi del compianto giudice Falcone che di rilievo penale non ha nulla. Faremo ricorso per Cassazione – anticipa già, a margine della sentenza, l’avvocato Castronovo -, certi che almeno a Roma troveremo un giudice scevro da condizionamenti esterni che possa acclarare l’estraneità dell’ex capitano rosanero rispetto all’intera vicenda, nonché la sua estraneità a qualsivoglia contesto malavitoso al quale non appartiene».
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