«Fiumi di droga viaggiavano attraversando lo Stretto di Messina grazie a un consolidato rapporto d’affari instaurato tra un gruppo messinese e la cosca retta un tempo dal boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, detto il Tiradritto». A sottolinearlo il procuratore aggiunto Rosa Raffa durante la conferenza stampa dell’operazione Scipione, che ha portato all’arresto di 19 persone.
Dietro le sbarre sono finiti Angelo Albarino, Giovanni Albarino, Stellario Brigandì, Fortunato Calabrò, Santo Chiara, Rinaldo Chierici, Roberto Cipriano, Giuseppe Coco, Alessandro Duca, Costantino Favasuli, Salvatore Favasuli, Adriano Fileti, Stefano Marchese, Giampaolo Milazzo, Giovanni Morabito, Francesco Spadaro, Maria Visalli e Marcello Viscuso. Per Orazio Famulari il gip ha disposto la misura cautelare dei domiciliari. L’indagine è iniziata dopo l’agguato del 27 settembre 2016, quando un uomo, con il volto coperto da un casco da motociclista, armato di fucile a canne mozze, spara due colpi verso uno dei tavolini esterni del Cafè sur La Ville, in viale Regina Margherita.
Seduti a quel tavolo ci sono Angelo Albarino, Stefano Marchese e Stellario Brigandì. I carabinieri iniziano a indagare sui tre per tentare di capire i motivi di quell’agguato. Scoprono così che, insieme a Giuseppe Selvaggio, poi divenuto collaboratore di giustizia, sono coinvolti in un traffico di stupefacenti con la Calabria. Il loro canale di approvvigionamento è la cosca retta un tempo dal boss Giuseppe Morabito. Il gruppo Morabito-Bruzzaniti-Palamara di Africo Nuovo assicurava la consegna a domicilio, su base settimanale, di carichi di cocaina e marijuana che venivano poi destinati alle principali piazze di spaccio della città di Messina.
«La novità dell’indagine è rappresentata dalla consegna a domicilio della droga», spiega il colonello Lorenzo Sabatino, comandante provinciale dei carabinieri. I fornitori vengono incastrati grazie al costante monitoraggio del locale gestito da Albarino in via Cesare Battisti. I fratelli Salvatore e Costantino Favasulli e il cugino Giovanni Morabito si recavano senza alcun preavviso nel punto vendita per accordarsi di persona con per le consegne di narcotico e per i pagamenti da ricevere. «I calabresi non si fidavano dei messinesi – aggiunge il procuratore – perché già in altre occasioni avevano tardato con il pagamento delle consegne».
Dalle indagini è emerso che quando i calabresi arrivavano al locale, entravano senza salutare Albarino, come se non si conoscessero. Pochi minuti dopo però quest’ultimo li seguiva all’interno, non prima però di aver accertato che non vi fossero servizi di osservazione delle forze dell’ordine. Le spedizioni di droga arrivavano ogni settimana dalla Calabria a bordo di autovetture con doppi fondi. Per il trasporto e la consegna a domicilio i calabresi pretendevano una maggiorazione sul prezzo di vendita di ogni carico. Albarino e Selvaggio curavano la distribuzione della droga attraverso una rete di pusher. I carabinieri hanno poi scoperto che i fornitori calabresi rifornivano anche altri gruppi di spacciatori messinesi facenti capo a Santo Salvatore, morto nel 2019 in carcere, e Alessandro Duca, che era in rapporti anche con il gruppo guidato da Selvaggio Albarino.
L’indagine ha permesso anche di accertare come il gruppo calabrese nascondesse la droga per evitare che venisse scoperta dalle forze dell’ordine. I fratelli Favasulli e Morabito seppellivano la droga nella sabbia di Africo Nuovo, contrassegnando i punti ove era occultato il narcotico con degli appositi segnali. In un caso i carabinieri hanno recuperato 6 chili di marjuana, alcune dosi di cocaina e un revolver calibro 44 completo di munizionamento, il tutto nascosto in apposite buche nella sabbia. Nel maggio del 2017, i militari della compagnia sud di Messina Sud al termine di un rocambolesco inseguimento riescono a sequestrare un carico di droga, appena ceduto dai calabresi. La droga era trasportata a bordo di un’auto sui cui viaggiavano Francesco Protopapa e Pasqualino Agostino Ninone, entrambi di Sant’Agata Militello, e Sebastiano Bontempo, detto il Uappo, ritenuto dagli investigatori elemento apicale del gruppo mafioso tortoriciano dei Batanesi.
I tre speronarono l’auto dei militari e tentarono la fuga a bordo dell’auto, ma al termine dell’inseguimento i militari riuscirono a bloccare l’auto in fuga, arrestare i primi due e sequestrare 2,5 chili di marijuana. Bontempo era riuscito a fuggire nascondendosi nelle vicine campagne, ma in quel periodo il Ros lo stava monitorando nell’ambito dell’indagine Nebrodi e hanno così scoperto il suo coinvolgimento. L’inchiesta è servita anche a ricostruire una serie di furti e rapinte ai danni di persone facoltose. Gli autori studiavano i movimenti delle vittime, prima di entrare in azioni. In alcuni casi i rapinatori hanno anche picchiato una donna.
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