Messina, la vita nella baracca che rischia di crollare «Ho terrore di restare, ci restano solo le promesse»

Lo scricchiolio del tetto e quello del pavimento. Un pezzo di zanzariera usato come barriera all’ingresso della camera da letto per evitare che entrino topi durante la notte. Non c’è nessuna finestra e l’aria da qualche parte deve pur passare. Le pareti gonfie di muffa che si sbriciolano. E la puzza di chiuso, di umidità e di cose bagnate che entra nelle ossa e non se ne va più, anche quando si torna all’aria aperta, riemersi da un girone dantesco. Camaro, Messina. Una delle baraccopoli più grandi della città dello Stretto: 1659 persone e 571 famiglie. Tra loro c’è anche Antonio Miano, 66 anni. Basta addentrarsi per qualche decina di metri nell’agglomerato di casette che si estendono alla destra del viale della Marina russa per trovare l’abitazione in cui vive da 38 anni. «Paura? Io ho il terrore di stare qui dentro». La moglie è dovuta andare a vivere con la figlia: il degrado, i crolli e la muffa hanno, giorno dopo giorno, rubato spazi alla famiglia Miano. Solo Antonio resiste, rischiando letteralmente la vita. 

Dopo qualche resistenza ci accoglie in casa. Il primo locale è un piccolo soggiorno: le mattonelle spaccate, le macchie scure alle pareti, le crepe che le attraversano dall’alto al basso. «Questa è la stanza migliore», si affretta a precisare. Il piccolo corridoio si apre immediatamente alla stanza da letto: a terra alcuni stracci necessari ad asciugare le infiltrazioni, il letto singolo, tutto attorno le pareti alternano inquietanti tonalità di verde e giallo. Se fino a questo punto si coltiva il dubbio sull’agibilità dell’abitazione, è andando avanti per qualche metro che quel dubbio viene fugato definitivamente. 

«Guardi, per andare in bagno devo passare da qui». A terra le macerie si alternano a secchi sparsi in diversi angoli. Alzando lo sguardo si intravede il cielo azzurro: il tetto ha ceduto in diversi punti, le travi, ben visibili, sorreggono a stento un misto di tegole, amianto e pezzi di canne. «Quando piove è come stare fuori – sorride il 66enne – così ho pensato a questo escamotage per raccogliere l’acqua». Dal tetto vengono giù pezzi di plastica e lamiera, appoggiati l’uno sull’altro e inclinati per far scendere il rivolo fino ad alcuni bidoni o all’interno della doccia. «Si dovrebbero fare tanti lavori ma non ho i soldi. Avete visto con i vostri occhi, dobbiamo parlarne? È inutile, le parole sono superflue. Viviamo di promesse e di speranze… E siamo qua».

Tanti a Camaro vivono in condizioni non dignitose. Qualcuno prova a nascondere la muffa delle pareti con carta da parati colorata. Ma le prime a essere trasferite sono sei famiglie che abitano non lontano da qui, in via Pilli, tra le baracche aggrappate ai grandi piloni del ponte ferroviario e costruite sopra la condotta idrica e fognaria. Domenica scorsa una perdita ha causato lo smottamento del terreno e cedimenti strutturali che hanno accelerato l’iter dello sgombero. 

Per queste famiglie il Comune ha individuato sei alloggi di proprietà dell’Istituto autonomo case popolari sparsi per la città. Ma quando i baraccati di via Pilli hanno preso possesso dei nuovi appartamenti è arrivata la spiacevole sorpresa: niente luce in alcuni locali, né acqua, interni vandalizzati e inagibili, anche a causa degli abusivi che le avevano occupate in precedenza. La conseguenza? Solo due famiglie sono potute rimanere nei nuovi immobili, le altre quattro hanno riconsegnato le chiavi al sindaco Cateno De Luca che spiega: «Ci dispiace della situazione, non ne eravamo a conoscenza, perché questi alloggi ci sono stati dati dallo Iacp. Stiamo cercando una soluzione alternativa temporanea, che potrebbe essere quella di far stare per un mese queste famiglie in bed and breakfast». La strada per la volenterosa amministrazione e per la neonata Agenzia per il risanamento di Messina è tutta in salita. 

Salvo Catalano

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