Messina, il pizzo ai locali della movida per evitare risse L’indagine parte dalla denuncia del titolare del M’Ama

«L’hanno battezzata operazione Flower, perché così veniva chiamato il pizzo, la tangente che i gestori dei locali dovevano pagare per evitare risse all’interno dei propri ritrovi, assumendo addetti alla vigilanza che venivano imposti da una cellula delinquenziale». A dirlo oggi in conferenza stampa il dirigente della squadra mobile Antonio Sfameni. Un’operazione che arriva a conclusione di più indagini condotte dalla squadra mobile e coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina. 

Nell’ambito della gestione dei servizi di sicurezza presso diversi locali di ritrovo in cui si concentra la movida della provincia messinese, «era riuscita ad imporre – ai responsabili della sicurezza ed ai titolari di pubblici esercizi – la corresponsione di somme di denaro per l’assunzione di personale addetto alla vigilanza, tentando addirittura, in alcuni casi, di estromettere la concorrenza e gestire così, in totale autonomia, il redditizio settore dei presidi di sicurezza presso lidi, discoteche, locali notturni ed altro» spiega. 

Agli arrestati di oggi sono pure attribuite due cruente rapine commesse in armi e a volto coperto. Sono sei le persone per i quali è scattata la detenzione in carcere, tre invece agli arresti domiciliari. In carcere sono stati accompagnati Giovanni Lo Duca, 30 anni, Kevin Schepis, 20 anni, Giuseppe Esposito, 26 anni, Vincenzo Gangemi, 35 anni, Domenico Mazzitello, 26 anni ed Eliseo Fiumara, 22 anni. Domiciliari per Andrea Fusco, 21 anni, Placido Arena, 20 anni e Antonino Rizzo, 37anni. Ancora ricercato Giovanni De Luca, 49 anni. 

«Si tratta di un gruppo agguerrito e pericoloso – ha spiegato il questore Vito Calvino -. Erano dediti a estorsioni e aggressioni, oltre a essere alcuni di loro protagonisti di rapine a mano armata anche molto cruente. Ma soprattutto minavano la movida cittadina». Come sottolineato dal procuratore aggiunto Rosa Raffa, «questa indagine ha svelato un meccanismo inconsueto ma efficace sulla strategia estorsiva. Per alcuni soggetti, pur non sussistendo l’associazione di stampo mafioso, è stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso per l’efferatezza delle modalità con cui commettevano i reati. 

Come nel caso del sequestro della guardia giurata in occasione della rapina al Sigma del centro commerciale di Maregrosso del 18 maggio scorso». In quel caso Schepis, Esposito, Fiumara con il supporto logistico fornito da De Luca (che mette a disposizione la propria abitazione) con il volto coperto dal passamontagna, armati di fucile e pistola, minacciano le persone all’interno del supermercato e tengono sotto tiro una guardia giurata presa in ostaggio. Riescono così ad appropriarsi di quasi 14mila euro custoditi all’interno della cassaforte. 

Durante le indagini viene inoltre svelato il meccanismo che provocava le risse nei locali pubblici. «Erano una forma di pressione e provocazioni nei confronti dei gestori dei locali. Estorsioni particolari. Ogni rissa provocava la chiusura del locale per un determinato periodo di tempo e coinvolgeva anche clienti che diventavano vittime delle condotte violente». 

L’operazione nasce dalla denuncia di Ivan Catanzaro, gestore di M’Ama e Palcò, del 28 giugno. «Oggi abbiamo scritto una pagina importante in questa storia. Che ci ha permesso di accertare in particolare come due soggetti già conosciuti alle forze dell’ordine, Giovanni De Luca e Giovanni Lo Duca, erano i mandanti di queste risse. Per innescarle usavano uomini di loro fiducia come Mazzitello e Gangemi». Le risse si sono verificate anche presso i ritrovi Officina e Golden Beach. Le aggressioni fisiche erano particolarmente violente e, in alcune occasioni, provocavano agli avventori dei locali, lesioni personali anche gravi con traumi e fratture.

Simona Arena

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