Messina, ditte sequestrate lavoravano per Comune Cura del verde a «società a disposizione dei clan»

Non solo estorsioni corruzione elettorale. Anche società sequestrate perché ritenute «a disposizione dei clan mafiosi» di Messina che hanno lavorato per anni nel settore della manutenzione del verde pubblico, aggiudicandosi appalti comunali senza gara pubblica. È quanto emerge nell’operazione Matassa, che giovedì scorso ha sgominato tre clan mafiosi a Messina, e svelato come il procacciamento dei voti per le elezioni venisse gestito da un gruppo criminale con il presunto supporto del consigliere comunale Paolo David. Oltre alle 35 persone finite in carcere, nel provvedimento firmato dalla gip Maria Teresa Arena, sono quattro le società sequestrate, tra cui il Consorzio Sociale Siciliano, che fa capo alla Ser. Ge. 93 Servizi Generali srl, pure questa sotto sigilli, e la cooperativa sociale Angel

Figura chiave nell’inchiesta è Angelo Pernicone, soprannominato Berlusconi. Insieme al figlio Giuseppe risulterebbe «pienamente inserito nelle dinamiche illecite della consorteria mafiosa in esame». Come dimostrato dalle indagini, sarebbero emersi i collegamenti, «per un verso, tra Angelo Pernicone e la criminalità organizzata messinese, in specie, il gruppo riconducibile a Gaetano Nostro» (uno dei 35 arrestati per associazione a delinquere che nell’inchiesta ha un ruolo nella gestione dei vari affari dei clan ndr) e, per altro verso, alla politica locale e in particolare a Giuseppe Capurro e Paolo David», il primo ex consigliere comunale, il secondo attuale consigliere, sospeso dal prefetto dopo il suo arresto. 

Secondo gli investigatori, Pernicone attraverso il figlio, amministratore unico della Angel–Società cooperativa sociale, e socio del Consorzio Sociale Siciliano, «controlla il settore delle cooperative operanti, soprattutto nel settore della cura e della manutenzione del verde urbano». Come si legge nelle carte «tra il 2010 ed il 2011 (quindi sotto l’amministrazione del sindaco Giuseppe Buzzanca, ndr) il Consorzio sociale ha stipulato con il Comune di Messina contratti per la scerbatura e la potatura di alberi, lavori affidati a trattativa privata». 

Come risulta dal sito istituzionale del Comune, i due appalti a trattativa privata vengono aggiudicati per importi di quasi 79mila euro e 117mila euro. Nel 2013 è stato stipulato un ulteriore contratto con il Comune per il servizio per la prevenzione e il controllo dell’infestazione del punteruolo rosso. Diversi sono stati inoltre i lavori affidati negli anni passati al Consorzio, ad opera di partecipate comunali attraverso un meccanismo di frammentazione di servizi omogenei in modo da non superare il limite degli importi stabiliti dalla normativa di settore. «Tutto ciò è avvenuto senza che risulti, dagli atti, alcun accertamento volto a verificare se il Consorzio avesse o meno i requisiti previsti dalla legge». Assessore al ramo nell’ex amministrazione Buzzanca è stata Elvira Amata che, interpellata da MeridioNews, replica: «I lavori in questione sono di competenza degli uffici tecnici del Comune, inoltre se non ricordo male il consorzio aveva già lavorato con altri enti pubblici».

Le società gestite dai Pernicone avrebbero goduto di un canale privilegiato perché avrebbero cavalcato i vantaggi della legge sulle assunzioni di categorie svantaggiate, che, ha sottolineato il procuratore Guido Lo Forte, «è stata piegata ai fini del gruppo criminale». La norma prevede agevolazioni per chi assume «il 30 per cento del personale tra invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare» e, ed è proprio questo il caso delle società dei Pernicone, «condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione».

Si scopre così che il Consorzio sociale siciliano, per gli inquirenti, «è stato utilizzato per assumere esclusivamente soggetti vicini al clan, tra i quali Selvaggio Giuseppe, Guarnera Lorenzo e Perticari Adelfio» (quest’ultimo ha confessato di aver ucciso il ventenne Giuseppe De Francesco, il 9 aprile scorso nel quartiere di Camaro, ndr), detenuti che così potevano contare su «benefici quali la semilibertà e autorizzazioni ad allontanarsi dai luoghi dove si trovavano ristretti agli arresti domiciliari per ragioni di lavoro». Queste assunzioni inoltre, si legge nell’ordinanza, non sarebbero neanche giustificate dal «possesso di particolare esperienza nel settore», quindi il giudice conclude che «il consorzio era a disposizione» delle famiglie mafiose. 

Secondo l’accusa, il consorzio che lavorava per conto del Comune finiva così per smaltire i rifiuti in maniera illecita e lavorare per uomini dei clan. È stato accertato infatti che «mezzi furgonati si introducevano nel terreno annesso alla casa di Angelo Pernicone e scaricavano rami, fogliame, e tutto quanto proveniente dalle operazioni di scerbatura degli alberi e delle aiuole cittadine per poi essere dati alle fiamme». E ancora che «con uomini e mezzi del Consorzio sono stati poi effettuati interventi in favore di alcuni personaggi di spicco della locale criminalità organizzata tra i quali Luigi Tibia e Giuseppe Cutè».

Simona Arena

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