Andrea Bonafede, Giuseppe Giglio e Vito Accardo, ma anche Gaspare Bono, Giuseppe Bono, Renzo Bono e Salvatore Bono. Sono solo alcune delle false identità che Matteo Messina Denaro avrebbe usato durante la sua latitanza. Le ha scoperte la procura di Palermo, che ha chiesto agli ospedali Villa Sofia e Civico la documentazione sanitaria intestata a 15 pazienti, ritenendo che le relative generalità possano essere state utilizzate dal capomafia. Gli altri possibili nomi usati dal boss sarebbero: Melchiorre Corseri, Vito Fazzuni, Giuseppe Gabriele, Giovanni Giorgi, Giuseppe Indelicato, Simone Luppino, Giuseppe Mangiaracina e Alberto Santangelo.
I dati relativi ai potenziali alias di Messina Denaro appartengono a persone esistenti, di cui 14 originarie del Trapanese – tra Campobello di Mazara e Castelvetrano – e nate tra il 1961 e il 1973, età abbastanza compatibili con quella di Messina Denaro, che era del 1962. Chi indaga ha delegato la polizia ad acquisire negli ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo, in banche dati e in altre strutture ospedaliere della città prescrizioni, ricette e documentazione sui ricoveri riferibili alle 15 identità. Intanto ieri la Corte d’appello di Palermo ha ridotto le pene decise in primo grado nei confronti di Lorena Lanceri – legata sentimentalmente a Messina Denaro – e del marito, Emanuele Bonafede. In primo grado, col rito abbreviato, Lanceri era stata condannata per associazione mafiosa a 13 anni e quattro mesi di reclusione, ma il collegio di secondo grado ha derubricato i reati contestati in favoreggiamento personale e procurata inosservanza della pena, per cui la donna è stata condannata a cinque anni e otto mesi.
Riduzione di pena anche per Emanuele Bonafede: la Corte d’appello lo ha condannato a quattro anni e quattro mesi per gli stessi reati contestati alla moglie, mentre in primo grado la condanna era a sei anni e otto mesi. Lanceri, che nella scorsa udienza – nel corso di lunghe dichiarazioni spontanee – ha ammesso la sua relazione con Messina Denaro, ha spiegato di aver saputo soltanto in un secondo momento chi fosse veramente l’uomo. La donna si sarebbe presa cura del boss e per anni si sarebbe occupata della sua corrispondenza, consentendogli di rimanere in contatto con i familiari di lui e con altri mafiosi. In cambio la coppia di coniugi avrebbe avuto da Messina Denaro dei regali, come un orologio Rolex che il boss avrebbe acquistato per il loro figlio. Emanuele Bonafede è il cugino di Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che avrebbe prestato l’identità a Messina Denaro.
Secondo l’ipotesi della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Palermo, la coppia avrebbe fatto da vivandieri e da ospiti di Messina Denaro, anche nel periodo del lockdown per la pandemia. Con loro il boss avrebbe trascorso molte ore in tranquillità. Secondo l’accusa, la coppia Lanceri-Bonafede gli avrebbe offerto «un contesto domestico-familiare» e gli avrebbero consentito di incontrarsi con molte persone. Secondo chi indaga, Lanceri e Bonafede avrebbero anche fatto controlli per verificare se in giro ci fossero agenti delle forze dell’ordine, in modo da assicurare una comoda latitanza al boss.
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