Messina, corse di cavalli: calessi griffati e scommesse «Andiamo a Catania, 100mila euro possiamo giocare là»

Ciascuno ha un suo cavallo e una sua scuderia come in un vero palio. Quello che emerge da una costola dell’operazione Totem, che due giorni fa a Messina ha sgominato il clan di Giostra, è l’ossessione della criminalità organizzata per le corse di cavalli. E la competizione a volte vede anche la partecipazione di cosche e scuderie di altre province. 

Nell’ordinanza di custodia cautelare, la gip Monica Marino definisce quella delle gare clandestine «una tradizione ormai consolidata». La squadra mobile è riuscita a ricostruire i legami tra i gruppi criminali e le varie scuderie cittadine e a definire il mondo che ruota attorno alla preparazione di una gara clandestina. I clan di MangialupiCamaro, Santa Lucia e Giostra scommettono una borsa in denaro, proprio come avviene negli incontri di pugilato. Chi vince si aggiudica tutto. Discorso a parte per le scommesse degli spettatori, raccolte dagli allibratori clandestini del clan sul campo di gara. 

La gip sottolinea che l’organizzazione delle corse clandestine di cavalli «suscita da anni l’interesse della criminalità organizzata, perché c’è la possibilità di conseguire consistenti guadagni legati alla raccolta delle scommesse». Il giro d’affari supera i 40mila euro a domenica. E le sfide, come si intuisce da un’intercettazione, possono coinvolgere altre scuderie siciliane: «Domani ci saranno più di diecimila persone, minimo! C’è tutta Catania, c’è tre quarti di Catania… i Bosco, Iannuzzo, lo sai quello che c’è domani?». A essere intercettato è Luigi Tibiaconsiderato il boss del clan di Giostra arrestato due giorni fa e già condannato in primo grado a otto anni per associazione mafiosa, che sovrintende la scuderia Bellavista a Tremonti, sequestrata dalla squadra mobile. In un’altra occasione si ipotizza un’altra gara fuori Messina. «E poi – si legge nelle carte – andiamo a Catania, gli sfidiamo il Gigante della Montagna, 100mila euro possiamo giocare là, lo proviamo…però lo dobbiamo imparare (n.d.r imparare a salire) nel carello hai capito […] eh, eh minchia bello! a Palagonia a Palagonia». A Messina si gareggia sulla litoranea, in via consolare Pompea, zona a Nord, o sul viale Giostra. Scelta preferita quest’ultima perché gli affiliati del clan guidato da Tibia controllano meglio il territorio.

Molta attenzione viene posta sulla scelta dei cavalli da acquistare, per cui non si bada a spese, né a distanze da coprire. Come ricostruisce l’ordinanza, il cavallo The Codger arriva direttamente dall’Inghilterra per arricchire la scuderia di Tibia. «È un cavallo tutto nero nero, il tendine appena si vede – spiega il venditore al pregiudicato, cercando di convincerlo delle doti fisiche e agonistiche dell’animale – è un cavallo che è stato pagato tre mesi fa 12mila sterline alle aste a Doncaster in Inghilterra». E la descrizione continua: «Il cavallo non è grosso, però non è nemmeno piccolo, un cavallo normale, non è un cavallone… un bel cavallo, è un figlio di Observatory, nasce alla grande». Dopo vari colloqui il prezzo concordato per l’acquisto è di 2mila 200 euro, viaggio compreso, oltre 50 euro per il passaggio di proprietà. Per le singole scuderie è anche una questione di immagine. Ecco perché non si bada a spese nemmeno per gli abbellimenti di cavallo e calessi. Tibia, ad esempio, fa realizzare per uno dei cavalli sia la mascherina che la tappezzeria del calesse griffati Piero Guidi.

Ruolo fondamentale nell’organizzazione hanno i veterinari che individuano le dosi di sostanze dopanti da iniettare ai cavali per ottenere migliori prestazioni, li curano quando serve o li abbattono quando non se ne può fare più uso. E naturalmente ci sono gli addetti a reperire questi farmaci. Gli animali sono infatti sottoposti anche ad «allenamenti massacranti con l’utilizzo di strumenti di ogni tipo con crudeltà». Come quelle inferte direttamente da Tibia a un cavallo che si mostra indolente: «Minchia! Sono sceso dal motorino, calci nella pancia per farlo partire, pugni nella testa (…) colpi di legno, calci nella pancia, io con le ginocchiate glieli davo (…) a momenti con i calci lo alzavo dal centro della pancia».

Tutto finalizzato al giorno della corsa, quando la strada viene invasa da motorini. «Alcuni – si legge ancora nell’ordinanza – scortano fino all’arrivo il loro cavallo, realizzando così una sorta di strategia competitiva nei riguardi gli avversari, altri hanno il compito bloccare le strade in modo da portare a termine la gara senza impedimenti». Una questione non solo di soldi, ma anche di prestigio e dignità secondo i partecipanti. Come dimostra l’intercettazione tra Tibia e due suoi sodali all’indomani della sconfitta, il 16 marzo del 2014, del suo cavallo, a opera di Loredan, della scuderia La Montagna. «Oh – dice quello che è ritenuto il boss di Giostra – noi non ci mettiamo i soldi… Dai ragazzi, oltre la faccia e la dignità, chiaro e ci dobbiamo fare dire che siamo contrasti». Poco meno di un mese dopo, il 13 aprile, è tempo di rivincita. «Loredan! Loredan si deve battere per una questione di orgoglio». La domenica all’alba tre telecamere dislocate dalla polizia documentano tutto: a gareggiare con Loredan e a batterlo è il cavallo Adrenalina. Al termine della corsa gli indagati e altre persone vicine si ritrovano alla stalla di Tremonti per festeggiare e dedicare ad Adrenalina persino una canzone neomelodica.

Simona Arena

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