Medici, avvocati, periti: i professionisti degli spaccaossa «Io ho le palle per seguire questi casi, non come gli altri»

«Diventerai ricca, con quello che prenderai ti potrai fare la casa». Era con frasi come questa che Giovanna Lentini rassicurava le persone che si erano volontariamente accollate fratture, traumi, lesioni e mutilazioni per truffare le assicurazioni simulando finti sinistri e incassare qualcosa. Persone disperate, ai margini della società, quegli ultimi di cui in genere nemmeno ti accorgi. A meno che non ti chiami, appunto, Giovanna Lentini, avvocata classe 1976 che con queste storie ha costruito se non tutta almeno una parte della sua carriera. Oltre a essere una delle persone coinvolte, non a caso, nella maxi-operazione messa a segno ieri da polizia e guardia di finanza. Di prestare le sue consulenze per casi non proprio genuini, infatti, sembra che ne fosse pienamente consapevole, almeno mettendo insieme i tasselli ricostruiti nelle quasi mille pagine di indagine. «La Lentini mi disse che dovevo riferire di essere stato investito da una Seat Marbella di colore rossa, condotta da un uomo di circa 50 anni mentre io stavo attraversa la strada, sulle strisce pedonali, in via Paruta», avrebbe suggerito, per esempi, a uno dei tanti malcapitati coinvolti nel giro di illeciti.

«È venuta in ospedale – racconta un’altra vittima -. In quell’occasione l’avvocato mi ha fatto firmare dei fogli in bianco dicendomi che lei avrebbe curato la mia pratica assicurativa. Ho detto loro che io volevo il mio avvocato di fiducia, ma mi hanno risposto che non era possibile. La Lentini mi ha detto che mi avrebbe anticipato lei delle somme di denaro per le spese mediche ed altre necessità che si sarebbero presentate». Sarebbe stata l’amante di Domenico Schillaci, alias Emanuele, che per gli inquirenti sarebbe stato uno dei vertici dell’intera banda criminale («se la faceva con Giovanna Lentini», nei racconti di un collaboratore), e in virtù proprio di questo rapporto la «promotrice del reato e l’organizzatrice delle incombenze burocratico-legali che seguiva come avvocato di riferimento della vittima compiacente», per dirla citando ancora le carte, quella che avrebbe dovuto seguire l’iter assicurativo della pratica. «Schillaci comprava le pratiche per Villa Sofia, e poi le portava all’avvocato», secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti. Quando però la faccenda iniziava a prendere una piega imprevista o di non gradimento, la musica cambiava.

«A un certo punto Lentini ha cominciato a non rispondere più alle mie telefonate. Io ho continuato a chiamarla chiedendole dei soldi ma ad un certo punto lei mi ha presentato un uomo che si chiama Emanuele, presentandomelo come perito, e mi ha detto che solo lui mi avrebbe potuto anticipare dei soldi e per qualsiasi mia esigenza mi sarei dovuta rivolgere a lui», era la liquidazione per chi tentava, a posteriori, di fare resistenza o mostrava il minimo ripensamento per la truffa allestita. O per chi, semplicemente, a fratture subite, presentava il conto per intascare quanto pattuito. Ma chi stava ai vertici della banda pare mettesse le proprie esigenze al primo posto. Sotto tutti i punti di vista, complice anche un atteggiamento decisamente poco empatico verso le vittime che si lasciavano abbindolare. L’avvocata, infatti, solo pochi mesi si stava organizzando per un viaggio tra comfort e lusso nella rinomata meta greca di Santorini.

Ma Lentini non sarebbe stata l’unica avvocata a disposizione della banda. Oltre a lei, ad esempio, ci sarebbe stato anche Graziano D’Agostino, che per gli inquirenti si sarebbe contraddistinto per una «partecipazione al delitto più fattiva e chiara». Infatti, secondo il racconto di una delle vittime compiacenti, il suo ruolo pregnante consisteva nell’imbastire, curare e portare a termine l’iter burocratico della pratica risarcitoria, ma si distingueva «anche come “curatore” del rapporto diretto con la vittima, che assisteva nelle fasi successive alla rottura elargendole somme di denaro e provvedendo alle cure mediche cui doveva sottoporsi». Ma è proprio uno di questi rapporti con chi si sottoponeva a traumi e fratture che avrebbe dato all’avvocato D’Agostino un bel grattacapo. «Sono la ex di (…), domani vado a fare la denuncia alla finanza e ai carabinieri – gli scrive per messaggio il 26 settembre 2018 una donna che si era prestata a fare da finta testimone a una delle vittime -. Ho testimoniato il falso perché mi ha promesso cinquemila euro e meglio di me non posso saperlo, c’ho delle registrazioni». Sarebbe stato proprio D’Agostino a seguire la pratica della vittima cui allude questa donna, fintamente investito da una Fiat Punto in viale Michelangelo ma in realtà ridotto con tibia, perone, malleolo e radio in frantumi con un peso da palestra in un casolare di Bagheria. Un dolore atroce, che non gli avrebbero risparmiato né gli anestetici né i litri di birra preparatori scolati qualche ora prima. A pagargli la fisioterapia, 70 euro per volta, sarebbe stato sempre l’avvocato D’Agostino, più 140 euro di ticket.

«Stai tranquillo, stai zitto, i soldi li avrai», avrebbe rassicurato la vittima, impaziente di ricevere il 40 per cento del premio assicurativo, in base a quanto pattuito. «Non ho mai firmato niente al mio legale, pima di adesso nemmeno lo conoscevo – racconta direttamente la vittima agli inquirenti -. È lui che mi ha suggerito di trovare un testimone credibile, mi diceva di non parlare al telefono o nell’ufficio della mia pratica, forse aveva paura di essere intercettato dalla polizia». E faceva bene a preoccuparsi. A passargli le pratiche ci sarebbero stati diversi soggetti, tra cui anche un certo Salvo, «quello della pompa di benzina sulla strada», in via Messina Marine. Ma ci sono pratiche e pratiche, come fa capire chi ha deciso di testimoniare e collaborare coi magistrati, alcune più spinose e impervie di altre. Ce n’è stata una, in particolare, che avrebbe dato tanti pensieri all’avvocato D’Agostino, ma «non l’ha voluta mollare assolutissimamente, diceva che era una pratica sopra ai 100mila euro». Consapevole, a sentire i racconti di chi ha parlato, che si trattava ogni volta di pratiche per incidenti fittizi, mai avvenuti. «Falli bene», avrebbe raccomandato in più d’una occasione agli spaccatori di ossa, in modo da causare fratture il più possibile compatibili con le ricostruzioni degli incidenti. «Chiedeva espressamente come farlo…fallo auto-moto, auto-pedone, così». Mentre non tutti i clienti sarebbero stati, da quanto emerge nell’inchiesta, facilmente gestibili. Come una che, una volta, cominciò a sottrarsi di proposito alla visita medica di parte, mostrando a suo dire un atteggiamento «indecoroso»: «Non è altro che una cretina, ancora devo andare a fare poi la dichiarazione ai carabinieri… sta indegna mi vuole mettere nei guai a me sta cosa inutile, qua sono sotto casa di questa arrusa, ora io gli sto suonando».

L’avvocato D’Agostino avrebbe cercato di coinvolgere, a un certo punto, anche un altro collega, un amico fraterno «con cui parlare in assoluta libertà, sapeva che gli incidenti erano falsi». Ma che dopo gli arresti dello scorso agosto per truffe di questa natura, si sarebbe tirato di colpo indietro: «Mi ha restituito tutta la documentazione dicendomi che non aveva più intenzione di seguirmi – racconta una vittima compiacente -. Era molto spaventato, ricordo che tremava e mi disse che non voleva più avere a che fare con me e le persone che si erano occupate della mia pratica e che adesso io mi dovevo rivolgere alle persone che conoscevo per trovare un nuovo legale». Un dietrofront che i sodali della banda non avrebbe gradito, visto i commenti di alcuni di loro che, secondo il racconto della vittima, lo avrebbero definito «una persona non seria al quale avrebbero voluto staccare la testa per il suo comportamento». Ma per un avvocato che fa un passo indietro ce n’è subito un altro pronto a farne dieci in avanti, «tranquillo, io ce le ho le palle per portare avanti la pratica», sarebbe stata la rassicurazione del nuovo legale.

Ma nel giro degli spaccaossa non ci sono solo avvocati. Ci sarebbe stato, per esempio, anche Mario Fenech, perito assicurativo. Uno che, tramite alcune amicizie alla filiale della Banca Nuova di viale Strasburgo, si sarebbe fatto aprire un conto corrente a proprio favore su cui sarebbe stata accreditata la somma liquidata dall’assicurazione. Anche perché in più di un caso sembra che a lui sia entrata la metà esatta delle somme liquidate alle vittime che si sottoponevano alle fratture. Un bel guadagno, ogni volta, a fronte di qualche anticipo su spese mediche e legali. Ma, secondo quanto emerso dall’indagine, sarebbe stato uno dei tanti sodali senza scrupoli disposto anche a minacciare quei poveretti che, nel momento fatidico, ci ripensavano non volendo più simulare l’incidente. E in mezzo ad avvocati, periti e anche finti testimoni, ci sarebbero stati ovviamente medici. Come il dottore Salvatore Cusimano, che avrebbe rivestito più volte le vesti di medico legale di parte nelle truffe. «Mi ha sottoposto alla visita, non mi ha chiesto la dinamica dell’incidente – racconta una vittima -. Poi l’ho sentito parlare con l’avvocato che seguiva la mia pratica, lo rassicurava dicendo che se qualcosa fosse andato storto loro avrebbero dichiarato di essere estranei e di non sapere che l’incidente era falso».

Sarebbe stato identico il comportamento anche di un altro medico coinvolto nel giro illecito, il dottor Vincenzo Messina: «Mi ha solamente visitato e misurato le cicatrici, non mi ha chiesto la dinamica dell’incidente né io ho riferito nulla. Sono rimasto nel suo studio per circa 10 minuti». Si sarebbe, secondo gli inquirenti, occupato di redigere false perizie, insomma, per far lievitare la richiesta risarcitoria. Coinvolti a pieno titolo nella truffa alle assicurazioni ci sarebbero stati anche tuttofare come Michele Caltabellotta, che «chiama a quello che gli rompe le persone e si fa le pratiche lui stesso», uno che «riusciva a fare pagare alta la pratica».

Silvia Buffa

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