«Ma lo hai fatto più quel passaggio con quel signore molto carino? Perché non si è visto completamente…». «Certo che l’ho fatto, più di un mese fa… Non si è visto? Fammelo cercare allora…». Potrebbe essere un normalissimo scambio di battute tra due amici: Pierù da un lato, Salvatò dall’altro, come si chiamano tra di loro. Il primo ha svolto un servizio per un cliente, ma la sua parcella non è ancora stata saldata. Il secondo invece, in qualità di amico fidato, si è preso la briga di aiutarlo a riavere i soldi che gli spettano, occupandosene in prima persona. Proprio in virtù di quell’amicizia che li lega. Se però aiutare un amico significa minacciare e intimidire – nel migliore dei casi – il debitore, allora la cosa cambia. E di parecchio. Sì, perché quei Pierù e Salvatò non sono esattamente due amici qualsiasi. Uno in particolare, visto che secondo gli inquirenti che lo hanno arrestato ieri sarebbe il nuovo vertice a capo della famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno: Salvatore Francesco Tumminia.
Sono in tanti, a leggere le carte dell’operazione, quelli che si rivolgono a lui per saldare, in un certo senso, i conti con chi non si è comportato correttamente. E non sono nemmeno tutti quanti suoi compaesani, come invece l’avvocato Pierù, che ha lo studio proprio a Belmonte. C’è, ad esempio, anche un tale di Misilmeri, che si era visto sottratto una somma di denaro da un uomo vicino proprio a Tumminia, chiamato per scendere in campo e occuparsene in prima persona. È il 9 novembre 2019. Solo venti giorni dopo a fare al presunto capo mafia la stessa identica richiesta sarà proprio l’amico avvocato. «Sta cosa l’avevo già preventivata – gli dice al telefono il legale -, quando tu fai una parcella su un lavoro fatto, riuscito, già finito un anno fa, così per puntualizzare…che la legge mi riconoscerebbe seimila euro, ok?». «Lo so, lo so, ‘sta storia me l’avevi già spiegata», lo rassicura Tumminia al telefono, che non sa di essere intercettato. Ma l’amico avvocato vuole essere il più chiaro possibile, sempre al fine di recuperare quei soldi che gli spettano. In barba ai metodi che l’altro amico, il presunto mafioso, potrebbe utilizzare nell’ottica di riuscire a convincere il debitore a restituire tutto.
«Te la ribadisco perché… – il legale si interrompe un attimo, tossisce, poi riprende -, se tu me ne dai di duemila sette e cinquanta, mi metti veramente in difficoltà, cioè io a questo punto… non mi conviene più, come ti vedo ti dico, io già l’avevo capito che lui voleva attuare questa cosa, ma io non ti dico che tu me li devi dare tutti, però quelli che siamo rimasti me li devi dare…perché io campo con questi soldi – vuole precisare -. Minchia ma è una cosa inutile, passarono quindici giorni, che fa scherzi? Non lo capisci tu a me…qui stiamo parlando di anni e di cause vinte e sistemate, capisci Salvatò?». E l’amico, ovviamente, lo rassicura ancora. «Fammelo cercare Piè…- gli dice -. Io già l’avevo fatto il passo, solo che io non ho avuto tempo neanche di chiedere, ma pensavo che lui era venuto a trovarti». E invece no, il primissimo tentativo che avrebbe fatto il presunto capo mafia di Belmonte non avrebbe sortito nessun effetto, a giudicare dallo sconforto dell’avvocato e dalla sua insistenza perché l’amico continui a occuparsene.
Per fortuna Tumminia sembra essere disponibile ad approfondire la faccenda. «Entro stasera ti chiamo – gli dice ancora -, perché lui sta a Casale, quindi lo devo andare a cercare là…Questo è il tuo cellulare, giusto? Me lo memorizzo di nuovo. Tu quando non ti rispondo qua…chiama a casa, ti do il numero di casa più tardi e chiami lì. Prima mi devi dire chi sei, chi è questo… Ci sentiamo più tardi». Lui, insomma, è pienamente a disposizione per aiutare l’amico avvocato in cerca dei suoi soldi. «Attendo una tua risposta – è la replica del legale, fiducioso nel lieto fine in cui ha tanto sperato -. Grazie Salvatore». Non è certo, però, che Salvatò sia riuscito in questo intento, come del resto in tutti gli altri di cui si era fatto carico, visto le manette scattate nella nottata di ieri. Lui adesso dovrà rispondere dell’accusa di essere stato il vertice della locale cosca mafiosa. Tornato in libertà da poco, dopo essere già finito in carcere per mafia nel 2008 col blitz Perseo, sembra non abbia perso troppo tempo a rientrare nel solito vecchio giro.
Almeno alla luce di quanto emerso con l’ultima indagine a suo carico, che sarebbe scattata già all’indomani di un altro importante colpo, messo a segno a dicembre 2018, Cupola 2.0. Che ha visto finire in manette, tra gli altri, anche l’ex vertice di Belmonte Mezzagno, Filippo Salvatore Bisconti, che poco dopo l’arresto ha iniziato a collaborare coi magistrati. Tra i nomi che fa c’è anche il suo, quello di Salvatore Tumminia. Che, secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbe accentrato il potere nelle proprie mani gestendo il settore delle estorsioni, infiltrandosi nelle istituzioni sane della città e ponendosi come punto di riferimento per i propri sodali e per i propri concittadini anche per la risoluzione delle problematiche più svariate. Come la controversia sorta in seguito a una richiesta estorsiva formulata nei riguardi di un artigiano locale che realizza lapidi. Che, però, non è esattamente un artigiano qualunque. O, meglio, lo è. Solo che suo fratello è un altro personaggio che, secondo gli inquirenti, avrebbe legami con la mafia locale. L’artigiano, alla luce di quanto intercettato, si lamentava di quell’inusuale richiesta di pizzo, come anche della minaccia di non poter più andare a lavorare nel cimitero locale qualora non avesse voluto pagare. Ecco perché ne parla direttamente con l’uomo che adesso è accusato di aver preso le redini della famiglia mafiosa di Belmonte. Ma Salvatò avrà fatto in tempo a redimere almeno questo ennesimo inghippo?
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