Marzia Sabella, magistrata che catturò Provenzano «Quando la mafia tace sta costruendo nuove forze»

«La mafia catanese e quella palermitana sono sorelle e stanno vivendo la stessa fase: il silenzio». L’affermazione, a margine di un incontro all’università di Catania, arriva da Marzia Sabella, la magistrata di Palermo che, nel 2006, ha messo le manette al super latitante di Cosa nostra Bernardo Provenzano. «Non sono un’esperta di associazioni mafiose etnee ma so che come quelle della Sicilia occidentale, attualmente, non stanno commettendo gesti eclatanti. Questo potrebbe fare pensare a un loro indebolimento interno ma, in realtà, è tutto il contrario», aggiunge l’ex pm del foro di piazza Vittorio Emanuele Orlando. «Sostenere, anche solo per un attimo, che sono state definitivamente sconfitte è l’affermazione di una grande eresia», aggiunge. «Piuttosto le istituzioni dovrebbero fare un passo avanti e chiedersi: “Ci stanno forse sfuggendo i nuovi metodi di azione della criminalità organizzata”?», precisa. 

Marzia Sabella ha 41 anni quando la sua carriera di magistrata spicca il volo. Originaria della provincia di Agrigento e sorella del sostituto procuratore antimafia Alfonso Sabella, è stata l’unica donna del pool di magistrati che dieci anni fa ha coordinato la cattura di Bernardo Provenzano. A guidare l’operazione, a capo della sezione Catturandi della squadra mobile c’era Giuseppe Gualtieri, nominato questore di Catania da pochi giorni. «Gli faccio tanti auguri. La squadra di allora ha sempre lavorato duro – commenta Marzia Sabella – Ognuno poi ha preso la sua strada ma è rimasto un legame di amicizia: quando le indagini sono forti come quelle che abbiamo seguito all’epoca, le persone con cui le hai condivise non possono che diventare tue amiche». Tra queste c’è anche Renato Cortese, il super poliziotto che ha messo le manette a Provenzano, entrando per primo nella masseria dove il vertice di Cosa nostra si nascondeva, e che da qualche giorno «siamo felici di avere a capo della questura di Palermo», dice Marzia Sabella.

La sostituta procuratrice del tribunale di Palermo attualmente è consulente per la commissione nazionale Antimafia di Palazzo San Macuto e nel 2014 ha scritto per Einaudi, insieme alla giornalista Serena Uccello, il libro Nostro onore, in cui ripercorre la propria carriera di pm, dai primi processi sulla pedofilia alle indagini su Matteo Messina Denaro «che verrà preso», passando per la cattura di Binnu. Esperta di mafia, spiega come siano cambiati i metodi delle organizzazioni criminali di stampo mafioso e quali siano oggi i settori più redditizi. «Negli anni ’90 c’erano i grandi omicidi e i gesti eclatanti, oggi la tendenza della mafia è sempre più quella di occupare gli spazi lasciati vuoti dalle istituzioni e dalla politica. Più ce ne sono – continua – più la mafia riesce a infiltrarsi». «Nata con l’obiettivo dell’arricchimento dei suoi componenti, attualmente il settore preferito dalla mafia per fare soldi è quello del denaro e degli appalti pubblici», dichiara la pm. «Il traffico di stupefacenti e l’estorsione, per esempio, servono solo per l’ordinaria amministrazione della macchina criminale. Il vero interesse è negli appalti, nella sanità, nei fondi della comunità europea», spiega. 

«Non sono un’esperta di mafia catanese ma so che è simile a quella palermitana e, da noi, la tendenza è quella», sottolinea. Delle ombre di mafia gettate sulla città di Catania – dalla relazione della commissione antimafia sulle presunte infiltrazioni nel Consiglio comunale cittadino, passando per il processo all’editore Mario Ciancio Sanfilippo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e intercettato al telefono con l’allora candidato sindaco Enzo Bianco – dice di avere letto dai giornali e non commenta. Salvo aggiungere che il proscioglimento di Ciancio pronunciato dalla giudice per le indagini preliminari di Catania Gaetana Bernabò Di Stefano  che sostanzialmente ha negato l’esistenza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa che pendeva sull’imputato – è stato «un caso molto originale ma che poteva succedere anche a Palermo. Il problema della magistratura è la specializzazione: perché chi deve giudicare casi specifici non deve essere specializzato in quell’argomento?», conclude. 

Cassandra Di Giacomo

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