Marco Zambuto, ovvero il crollo del gigante d’argilla tra bugie e omertà

da Giuseppe Arnone
riceviamo e volentieri pubblichiamo

LE ‘AVVENTURE’ DEL SINDACO DI AGRIGENTO ORMAI DIMISSIONARIO. LE REGIONI GIURIDICHE, PURTROPPO FON DATE, DELLA SUA CONDANNA. I SUOI CONTINUI ‘CAMBI DI CASACCA’. IL RUOLO DEL PD DI ANGELO CAPODICASA E BENEDETTO ADRAGNA. L’OMBRA DI ANGELINO ALFANO. QUESTO E TANTO ALTRO ANCORA NELLA RICOSTRUZIONE DI UNA DEI PROTAGONISTI DELLA POLITICA AGRIGENTINA

 

La prima domanda cui occorre dare una risposta e che tutti hanno evitato, in primo luogo gli esponenti del PD e i giornalisti ruffiani, è la seguente: il Gup Francesco Provenzano, che ha condannato Marco Zambuto per il reato d’abuso d’ufficio, è un pazzo scatenato, un giustizialista invasato, una toga che fa politica o, invece, è un ottimo magistrato che ha emesso una sentenza sacrosanta, assolutamente motivata e pure molto garantista?

Prima di riportare il capo di imputazione della condanna chiarisco di essere stato il politico agrigentino di maggior peso che più ha difeso, per anni, l’ex Sindaco Zambuto, collaborando lungamente con lui, ma amo difendere e collaborare ancor di più con la verità e con il senso di giustizia. Detto questo facciamo parlare i fatti, che appunto in questa vicenda sono stati occultati e calpestati, in primo luogo dai pennivendoli di regime.

Riportiamo il capo di imputazione per cui Zambuto è stato condannato. Il reato è l’abuso d’ufficio e la contestazione è questa: “…perché, con distinte azioni in tempi diversi, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di Presidente della Fondazione Teatro Pirandello, organismo di diritto pubblico ai sensi … in violazione degli artt. 8 e 9 dello Statuto … che espressamente attribuiscono la funzione decisionale al Consiglio di Amministrazione e la responsabilità gestionale ed operativa esclusivamente in capo al Direttore Generale, agendo al di fuori dei casi di assoluta ed improrogabile necessità nei quali, a mente dello Statuto, il Presidente della Fondazione può sostituirsi al Consiglio di Amministrazione nell’adozione dei provvedimenti di sua competenza, nonché in violazione dell’art. 97 della Costituzione … che impone ad ogni pubblico funzionario, nell’esercizio delle sue funzioni, di non usare il potere che la legge gli conferisce per procurare a sé ingiusti vantaggi ovvero procurare ad altri ingiusti danni, abusava del suo ufficio affidando autonomamente a OLIVERI Paolo, agente della Publikompass s.p.a. (società avente l’esclusiva per la pubblicità sul quotidiano “La Sicilia”) i seguenti due incarichi di natura pubblicitaria con utilizzo di una intera pagina del quotidiano “La Sicilia” al prezzo di euro 3.000 ciascuno:

-realizzazione di due articoli, pubblicati il 29 dicembre 2011, concernenti l’attività della Fondazione Teatro Pirandello

-realizzazione di due articoli, pubblicati il 27 marzo 2012, il primo dal titolo ‘Una città cantiere proiettata nel futuro’ avente ad oggetto esclusivamente le migliorie apportate alla città di Agrigento dalla amministrazione comunale guidata dallo stesso Sindaco Marco Zambuto e il secondo avente ad oggetto l’attività della Fondazione Teatro Pirandello

ed in tal modo intenzionalmente procurava a sé stesso (per l’importo pari al costo della inserzione dell’articolo non avente ad oggetto l’attività della Fondazione Teatro Pirandello, ma esclusivamente il panegirico a suo beneficio in periodo di campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni amministrative comunali nelle quali si era ricandidato alla carica di Sindaco) un ingiusto vantaggio patrimoniale, con pari danno ingiusto per la Fondazione Teatro Pirandello in Agrigento, nel dicembre 2011 e nel marzo 2012”.

Zambuto non ha potuto smentire i fatti, né le norme richiamate. Certo, la vicenda è minuta, le somme sono poco più che ridicole, i fatti, se vogliamo, di dimensioni minime. Ma sono veri, eticamente censurabili, politicamente indifendibili e giuridicamente il reato ci sta tutto. Il Giudice non poteva evitare la sentenza di condanna. Il Giudice lo ha assolto per gli altri capi d’imputazione, ovvero per aver distribuito una lunga serie di elemosine, da 1.000 euro o poco più ad una marea di (pseudo?) giornalisti e similari.

Vallanzasca in queste ore torna in galera per aver rubato… un paio di mutande mentre era in semilibertà. Anche rubare due mutande (boxer per la precisione) costituisce furto. Nel nostro caso, quindi, Zambuto è stato condannato – possiamo dire giustamente, con evidente scienza e coscienza – dal Gup Franco Provenzano sulla base di fatti veri ed illeciti.

E per dirla tutta, l’acquisto della pagina pubblicitaria, un intero paginone, acquisto effettuato con soldi del bilancio del Teatro Pirandello, ma diretto non a pubblicizzare cultura e teatro ma, in piena campagna elettorale, a decantare le magnifiche doti del Sindaco, appare anche un’iniziativa non solo illegale, ma pure poco dignitosa (per usare un eufemismo).

Mi pare doveroso dire questo perché un magistrato scomodo, autonomo, indipendente, coraggioso, limpido come Franco Provenzano ha diritto che almeno una persona onori non tanto il suo lavoro, ma la verità, la giustizia con la G maiuscola.

E sempre sul processo c’è da chiedersi perché, a fronte di una accusa così evidente ed assolutamente provata, la difesa di Zambuto abbia optato per il rito abbreviato. Non riesco, da tecnico del diritto e da esperto in fatti politici, che a trovare un’unica giustificazione: chi ha operato la scelta del rito abbreviato forse – anzi quasi sicuramente – non aveva letto prima la legge Severino e le conseguenze che sarebbero nate dalla assai probabile condanna.

E’ veramente incredibile – anche alla luce delle risibili giustificazioni del suo operato diffuse da Marco Zambuto dopo la sentenza – come il Sindaco abbia scelto il rito abbreviato invece del rito ordinario. Il processo col rito ordinario si sarebbe agevolmente trascinato, con i tempi del Tribunale di Agrigento, per un paio d’anni. E quindi, in caso di condanna, la sospensione si sarebbe avuta solo nel 2016, a fine mandato.

In una realtà come quella agrigentina e siciliana ove tutto è virtuale e, pirandellianamente, vi è un continuo gioco di specchi tra il vero e il falso, siamo arrivati adesso alla glorificazione di Marco Zambuto che, dopo la sentenza di condanna, si dimette per evitare la sospensione del Prefetto e alla sostanziale gogna mediatica per il giudice che ha fatto solo e soltanto il suo dovere. Il merito delle questioni sparisce.

La verità storica e giudiziaria è quella che abbiamo appena descritto e che di nuovo sintetizziamo: Zambuto, nella assoluta consapevolezza e nello scontro con i membri del CdA del teatro (che poi lo hanno denunziato), ha effettuato alcune – in verità, piccole, minimali – spese pazze ed illecite, anche di esclusivo interesse personale. Ha, come detto, distribuito delle “elemosine” a giornalisti e a giornali amici suoi ed ha fatto pagare al Teatro Pirandello un paginone di pubblicità elettorale personale.

Il tutto adottando atti amministrativi che non erano neanche di sua competenza, bensì del CdA del Teatro.

Andiamo adesso al dato politico, addirittura prioritario nel definire il quadro del crollo di questo gigante dai piedi d’argilla. Prima ancora che la sentenza del Giudice Provenzano, è stato il volere degli elettori a bocciare definitivamente Marco Zambuto.

Zambuto ha preso alle elezioni europee di maggio 2.200 voti nella città di 60.000 abitanti di cui è Sindaco in carica, elezione per di più con tre preferenze. Esattamente i voti che prendevano i consiglieri comunali della Dc quando si votava per il Consiglio comunale con tre preferenze. Ha preso meno del doppio dei voti di Caterina Chinnici e poco più del doppio dei voti di Giovanni Fiandaca.

Solo chi è in malafede (o ha beneficiato delle elemosine ai giornalisti per le quali Zambuto è stato processato e poi assolto) può sostenere che il voto delle Europee non abbia seppellito l’amministrazione Zambuto e con essa il futuro politico del Sindaco. Gli elettori agrigentini non hanno condiviso tutte le attività di saltimbanco della politica posta in essere da Zambuto – dal disoccupato Marco Zambuto – per assicurarsi una poltrona parlamentare.

Come accennavo, sono stato sicuramente il politico che ha più supportato e sostenuto Zambuto cercando – nell’interesse della città – di fargli evitare tremendi errori di opportunismo cui, con frequenza, consiglieri furbastri, protagonisti della vecchia politica lo hanno indotto.

Vediamo innanzi tutto come nasce la candidatura Zambuto. Alla fine del 2001 viene eletto sindaco di Agrigento Aldo Piazza, in nome di Angelino Alfano e Berlusconi. Marco Zambuto è uomo di quella coalizione e sarà assessore di Piazza al Bilancio.

Scoppia lo scandalo dell’inchiesta ‘Alta Mafia’ che coinvolge il Comune di Agrigento. Si apre uno scontro durissimo, senza quartiere, tra il capo della sinistra, Giuseppe Arnone (cioè chi scrive), e l’allora Sindaco Aldo Piazza e il suo gruppo. Piazza ne esce distrutto. Alfano, il suo padrino politico, decide di non ricandidarlo. Sarebbe naturale, a sinistra, la candidatura di Arnone, vittorioso su Piazza, di Arnone che aveva pure costretto il centrodestra a ripulire la Giunta dalla presenza del nipote del capomafia arrestato per ‘Alta Mafia’, di Arnone che ha mandato a processo i complici e gli amici di ‘Alta Mafia’.

Ecco che i cosiddetti big del Partito Democratico, i capi corrente, si accordano invece per tagliare la strada ad Arnone e candidare Marco Zambuto, che nel frattempo ha abbandonato la carica assessoriale accanto a Piazza. Siamo a quattro mesi dalle elezioni, Zambuto è l’uomo di Totò Cuffaro, è il segretario provinciale dell’Udc. Chiede a Cuffaro la poltrona di Sindaco, ma “vasa vasa” non è in grado di candidarlo per conto del centrodestra.

Marco Zambuto sbatte la porta e manda “Totò vasa vasa” a quel paese. Quindi ecco la riunione carbonara a casa del senatore Benedetto Adragna, col suocero di Zambuto, l’ex parlamentare Angelo La Russa, con l’on. Angelo Capodicasa, con il senatore Nuccio Cusumano. Costoro decidono la strategia. Il centrosinistra punterà su Zambuto, il quale lancerà – fittiziamente – lo slogan (subito, come vedremo, abbandonato) di “Agrigento al di sopra dei partiti”.

Il voto dà un risultato clamoroso: la battaglia di Arnone contro Piazza e il centrodestra porta la città a scegliere il cambiamento, a bocciare al ballottaggio il candidato di Alfano, Berlusconi e Lombardo. Zambuto è Sindaco. Arnone è primo eletto in Consiglio comunale, con un bagno di voti: il doppio dei più votati di Forza Italia e dell’Udc. La città riconosce ad Arnone, in modo spettacolare, il merito del lavoro svolto per battere Piazza e ripulire il Comune dai collusi con la mafia.

Zambuto si insedia e già dalla prime settimane apre un fronte polemico con la sinistra rappresentata da Arnone. Il nuovo Sindaco non vuole “tutele” … né ama i controlli. Pochi mesi dopo, a febbraio 2008, il colpo di scena: tra Zambuto e Alfano ‘scoppia l’amore’. I due sono ricevuti e benedetti, di giorno, a Palazzo Grazioli, negli stessi saloni ove di notte Silvio Berlusconi organizza i bunga bunga.

Già alle politiche e alle regionali del 2008 la “città al di sopra dei partiti” è in archivio e Zambuto fa campagna elettorale per Berlusconi, Raffaele Lombardo e Angelino Alfano.

Nel 2009 abbiamo un lavoro di ricucitura condotto da Giuseppe Arnone: il Sindaco di Agrigento si allontana (temporaneamente) da Alfano ed è quello il miglior periodo dell’amministrazione Zambuto. Zambuto e Arnone finalmente collaborano e la sinistra di Arnone esprime pure una presenza nella Giunta municipale, con una stimatissima dirigente regionale.

Sono i mesi in cui si fa pulizia tra i dirigenti comunali, si portano a compimento i concorsi, si nomina a capo dei Vigili urbani un ottimo capitano dei Carabinieri e, grazie ad Arnone, Zambuto scansa l’impatto politicamente devastante dell’ordinanza cautelare nei confronti di dirigenti e funzionari dell’Ufficio Tecnico, schiacciati da montagne di prove di tangenti.

Anche qui Arnone aveva ragione, e il dirigente Di Francesco, vicino all’UDC, più volte denunziato da Arnone, andava allontanato da tempo. Di Francesco viene individuato come il riferimento al Comune di un’associazione per delinquere. Di Francesco era un grande protetto del suocero di Zambuto, l’immarcescibile On. La Russa.

Nell’agosto 2011 abbiamo la nomina dell’ultima giunta Zambuto del prima delle elezioni: l’amore per Alfano è ripreso, la Giunta comunale si costruisce il giorno di Ferragosto, addirittura nella villa di Angelino. Ma immediatamente dopo riprendono le fibrillazioni tra Alfano e Zambuto. L’amore non è bello se non è litigarello. Fibrillazioni pubbliche, continue, forti. Gli alfaniani agrigentini sono contrari a che Alfano sia sponsor della ricandidatura di Zambuto a Sindaco. Lo ritengono un traditore.

Il tira e molla tra Zambuto e gli alfaniani sulla ricandidatura arriva sino al febbraio 2012, il voto è due mesi dopo. Alla fine prevale il no, e Alfano si orienta … sul principe degli impresentabili, una personalità agrigentina molto discutibile, l’ex segretario particolare di Mannino e penalista che difende fior di capimafia (incappando persino in dichiarazioni molto compromettenti seppur non riscontrate del pentito Di Gati), l’avvocato Salvatore Pennica.

Anzi, una mano fortissima alla rielezione di Zambuto viene fornita, ancora una volta, dal sistema dei partiti: per una fase vi è la corsa tra il PD di Capodicasa e il Pdl di Alfano a candidare Salvatore Pennica. Per un momento addirittura sembra che lo vogliano candidare assieme. La “cosa” (la candidatura di Pennica da parte dell’alleanza Capodicasa e Alfano) sfuma dopo un pesantissimo articolo de “Il Fatto Quotidiano”.

Alle elezioni comunali del 2012 il centrosinistra si presenta diviso: tre candidati, non si sono neanche volute fare le primarie. Alfano presenta appunto Pennica, neo berlusconiano. Rivince Zambuto che nel frattempo è ritornato nell’Udc di Casini e D’Alia, di cui viene promosso vice segretario regionale.

Al ballottaggio contro Pennica è un successo per Zambuto. Arnone si schiera con molta energia con Zambuto, l’avvocato dei boss va ovviamente sconfitto ad ogni costo.

E Pennica risponde con il più infelice dei manifesti della storia elettorale siciliana. Tappezza l’intera città e distribuisce a tappeto decine di decine di migliaia di volantini raffiguranti Zambuto assieme ad Arnone, con questa scritta: “Chi vota Zambuto vota Arnone”. Alla gente, invece, questo messaggio piace molto. Zambuto ottiene il 75 per cento dei voti e Pennica il 25.

Siamo alle politiche del 2013 e Zambuto vice segretario regionale dell’Udc pretende la candidatura alle elezioni politiche. Non l’ottiene e dopo pochi mesi abbiamo l’ulteriore innamoramento. Se all’inizio del 2013 Zambuto è il numero due dell’Udc in Sicilia, alla fine dell’estate dello stesso anno è colpito dall’innamoramento per Matteo Renzi, così il Sindaco di Agrigento si ‘trasforma’ in iscritto e capo corrente del Partito Democratico.

Un turbinio di sigle da far girare la testa. Riepiloghiamolo. Nel 2006 segretario provinciale dell’Udc, nel 2007 Agrigento al di sopra dei partiti alleata con la sinistra, nel 2008 Zambuto va a casa di Berlusconi e si allea con Alfano, nel 2009 ritorna indipendente e si allea con Arnone, nel 2011 ritorna con Alfano e Forza Italia, nel 2012 viene eletto vice segretario regionale dell’Udc, nel 2013 si iscrive al PD, nel 2014 è l’anno nero e il fine della corsa. Bocciato alle Europee, condannato dal Tribunale e dimissionario.

Malgrado questo e malgrado il limitato tempo dedicato al Comune, perché Marco deve dividersi tra tutti questi partiti e i relativi “impegni” e le attività di Sindaco, Zambuto è stato comunque il migliore (o il meno peggio … di gran lunga il migliore o il meno peggio) dei Sindaci degli ultimi trent’anni, forse dal dopoguerra ad oggi. Non ci voleva molto.

Il principale predecessore Sodano è attualmente sotto processo per mafia, prima di Sodano abbiamo la Giunta di Roberto Di Mauro travolta dallo scandalo delle somme urgenze, appaltini fittizi concessi ad imprese ‘chiacchierate’ E prima ancora abbiamo, alla fine degli anni ’80, il sindaco Angelo Scifo, condannato per la speculazione edilizia di Montegrande.

Adesso arriverà il Commissario e proclamerà, purtroppo, lo stato di dissesto economico del Comune di Agrigento. Zambuto in queste ultime settimane aveva proprio questo enorme problema: i pessimi numeri del bilancio, dissestato dai suoi predecessori e che lui non è riuscito a sistemare: insomma i conti che non quadravano più.

Adesso però non è più un suo problema. Come non è più un suo problema mantenere il posto ai 50 assunti che, per sua iniziativa, avevano ingrossato ulteriormente i dipendenti dell’appalto della N.U. (e per i quali adesso non vi sono somme disponibili). La città in questi sette anni di Zambuto è andata ulteriormente indietro, Zambuto ha fatto del suo meglio per risollevare Agrigento ma, partendo da giovane disoccupato, privo di attività lavorativa, doveva pure pensare a costruirsi un futuro.

Per il fallimento di Zambuto, sancito dal voto delle Europee e dalla squallida storia della condanna penale, occorre ringraziare gli scellerati inventori di questa candidatura, cioè i leader del PD Capodicasa, Adragna e Cusumano. Solo degli scellerati, in una realtà assolutamente degradata, dove la politica non ha alcuna dignità ed è rappresentata dal baffo di Capodicasa, potevano pensare di affidare la già devastata città di Agrigento ad un ragazzo di 33 anni che non aveva alcuna esperienza lavorativa e che anzi prima di quella riunione carbonara, a casa del senatore Adragna, era finito sui giornali per essere tra gli evidenti favoriti di un concorso truccato all’Azienda Sanitaria dal padre dell’ex parlamentare regionale, Giusi Savarino, quest’ultima – che coincidenza – deputata dello stesso partito di cui Zambuto era il segretario provinciale.

Potremo concludere che forse non tutti i mali vengono per nuocere. Forse la condanna e le dimissioni sono per lo stesso Zambuto la migliore delle soluzioni. Possiamo solo aggiungere che la prossima volta che Davide Faraone pensa di fare nuovi acquisti ad Agrigento è probabilmente il caso che si consulti con chi, dalla parte del cambiamento e della legalità, è da sempre schierato.

Nota a margine

Precisiamo che sia Giusi Savarino, sia Roberto Di Mauro sono stati assolti dalle vicende nelle quali sono stato coinvolti.
g.a.

 

Redazione

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