Mannino, Ciancimino e il buio del ‘92

Improvvisamente siamo ritornati al 1992. Anno tremendo. Nell’aria soffiava già il vento di Tangentopoli. Anche in questo la Sicilia, in un certo senso, aveva anticipato il resto del Paese. Gli uomini del Ros, il Reparto operativo speciale dei Carabinieri, alla fine degli anni ‘80, avevano redatto un rapporto sui grandi appalti di scena in quegli anni nell’Isola. Uno spaccato dal quale veniva fuori che mafia e politica andavano a braccetto tra dighe, porti, aeroporti, strade, autostrade, metanizzazione dei Comuni e altre grandi opere pubbliche. I politici dell’Isola sapevano di essere ‘sotto scopa’. Qualcuno li aveva informati.
L’atmosfera era pesante. I conti cominciavano a non tornare più. E’ in questo clima che, la mattina del 12 marzo, lungo i viali di Mondello, viene ammazzato Salvo Lima, eurodeputato Dc, leader indiscusso degli andreottiani di Sicilia. Un delitto ‘eccellente’ in piena regola. Il 23 maggio si consuma la strage di Capaci, dove vengono trucidati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Il 19 luglio, a Palermo, in via D’Amelio, il tritolo uccide Paolo Borsellino e la sua scorta (nella foto, un’immagine di via D’Amelio dopo la strage, foto tratta da Liberastoria Word press).
Dal 12 marzo al 19 luglio, in Sicilia – anzi, in Italia – succedono tante cose. Alcune erano già note allora. Altre si scopriranno nel corso degli anni. Altre ancora ne conosceremo in futuro. O, forse, non le conosceremo mai, se è vero, come ebbe a dire una volta Leonardo Sciascia, che “l’Italia è un Paese senza verità”. Però alcune verità ci sono. A cominciare dai morti. E dai protagonisti di quella stagione che sono ancora vivi. I politici, per esempio. Destò grande impressione – in chi scrive – una dichiarazione rilasciata in Tv da Calogero Mannino, democristiano come Lima, qualche ora dopo l’assassinio dell’eurodeputato vicinissimo ad Andreotti. Mannino avrà parlato, sì e no, un minuto. Ribadendo più volte un concetto: che gli esponenti della Dc erano “vittime”.
Nelle settimane successive di Mannino si erano perse le tracce. Anni dopo si seppe che la mafia lo voleva ammazzare. I mafiosi, a quanto si è detto poi, ce l’avevano anche con Andreotti, con il socialista Salvo Andò e con l’allora leader del Psdi, Carlo Vizzini. Oggi i magistrati ipotizzano che Mannino possa avere avuto un ruolo nella trattativa tra Stato e mafia. Sempre secondo gl’inquirenti, l’ex ministro potrebbe avere esercitato pressioni per alleggerire il cosiddetto 41 bis ai boss di ‘cosa nostra’. Mannino, ovviamente, respinge queste accuse. E ricorda di aver subito un processo per mafia – durato tredici anni, con due di detenzione a suo carico – dal quale è venuto fuori assolto.
Non spetta certo a noi esprimere pareri sulle indagini della magistratura. Chi scrive ricorda quei giorni. E ricorda le vicende politiche precedenti e successive al periodo che va dal 12 marzo al 19 luglio 1992.
Mannino era stato un avversario degli andreottiani. Anche se, in realtà, erano proprio gli andreottiani che, all’interno della Dc, gli facevano una guerra senza quartiere. Mannino era stato designato segretario regionale della Dc nel gennaio del 1985. A volerlo era stato il comitato regionale del partito. In attesa della ‘consacrazione’ da parte di un congresso che non si celebrerà mai.
All soluzione Mannino si era arrivati dopo tre anni durissimi. Tutto era cominciato un mese prima del congresso regionale della Dc di Agrigento. Quando, a Roma, Mannino aveva rifiutato il ‘listone’ unico per il congresso del partito in Sicilia. Mannino (nella foto a sinistra) aveva fatto sapere che avrebbe presentato una lista per i fatti propri. E che, al congresso, avrebbe chiesto l’espulsione dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino.
A Palermo – e non soltanto a Palermo – era scoppiato un putiferio. In quei giorni Rosario Nicoletti, leader storico della Dc siciliana, era più depresso del solito. Si aspettava, così andava dicendo in giro, qualche colpo di coda. Che non ci fu. Perché ad Agrigento, in un congresso regionale che definire drammatico è poco, successe di tutto. I cronisti dovrebbero ricordare i due hotel della Valle dei Templi presi in ‘ostaggio’ dalla politica. Nel primo si celebrava il congresso delle Dc. Nel secondo c’erano asserragliati Ciancimino con il suo ‘stato magiore’.
Ciancimino venne messo alla porta. Lasciando Agrigento, così si racconta, giurò vendetta contro Mannino. Alla segreteria regionale della Dc venne designato Giuseppe Campione, vicino a Nino Gullotti. Era una soluzione temporanea che, però, durò circa un anno e mezzo. Periodo piuttosto complicato e sofferto, perché a una guerra di mafia, che si combatteva per le strade della Sicilia, si associava una ‘moria’ di governi regionali con i presidenti, tutti democristiani – presidenti della Regione allora eletti da Sala d’Ercole – che venivano sfiduciati uno dietro l’altro.
Questo fino al gennaio 1985. Quando, all’interno della Dc, si trova il “magico accordo”, per dirla con il protagonista del celebre film “New York New York”, con Robert De Niro e Liza Minnelli. Mannino alla segreteria regionale, Rino Nicolosi, anche lui democristiano, alla presidenza della Regione. Sarà una lunga stagione che si protrarrà fino al 1992, ora con relativa calma, ora con improvvise burrasche politiche e parlamentari.
Questa digressione – apparentemente distante dalla stagione delle stragi del 1992 e dagli attentati del 1993 – è, in realtà, legata, quasi prodromica, a quello che succederà, per l’appunto, tra il ‘92 e il ‘93. Volendoci pensare, i protagonisti politici (ma forse non soltanto politici) sono gli stessi. C’è Mannino, che dopo l’omicidio Lima, come già ricordato, scomparirà per lunghi mesi dalla circolazione. C’è Nicola Mancino, all’epoca dei fatti ministro degli Interni. C’è Claudio Martelli, allora ministro della Giustizia. E c’è, soprattutto, Vito Ciancimino, che nel 1992 e nel 1993 è vivo e vegeto. E, di solito, era uno che manteneva le promesse. Soprattutto se erano vendette.
Forse, nel 1992, rispetto alla seconda metà degli anni ‘80, è cambiato lo scenario internazionale. E’ caduto il muro di Berlino. La mafia siciliana, che fino a prima della caduta del muro teneva saldi rapporti con gli Stati Uniti, non sembra o non è più legata agli Usa come negli anni precedenti. Forse, addirittura, se non libera da vincoli ‘americani’, di certo appare meno condizionata. O, ancora – e sempre forse – più condizionabile da Roma e meno dai ‘messaggi’ di oltreoceano. Chissà.
C’è stata la ‘trattativa’ tra Stato e mafia? Le indagini sono in corso. Un fatto è certo: a molti mafiosi il 41 bis venne revocato. Ed è difficile pensare che il ministro della Giustizia di quegli anni si sveglia una bella mattina e revoca il carcere duro a centinaia di mafiosi. Questa tesi non è molto credibile. Così come è quanto meno strano che, a distanza di vent’anni, alcuni personaggi di quegli anni ritrovino improvvisamente la memoria.
C’è chi sostiene che la trattativa sia cominciata tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992. Questo, è chiaro, dovrà essere provato. Ma questa tesi non può essere respinta a priori. Così come non sono convincenti tutti quelli – e sono tanti – che da qualche tempo cercano in tutti i odo di screditare Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo.
A queste persone – che sono tante e importanti – vanno dette due cose. La prima è che Massimo Ciancimino, con le sue rivelazioni, si è solo complicato la vita. Rendendola difficile anche ai suoi familiari. La seconda è che ancora, in realtà, di Vito Ciancimino, del ruolo che ha svolto non solo a Palermo, ma anche a Roma e negli Stati Uniti d’America non sappiamo tutto. Dagli atti della prima commissione d’inchiesta sulla mafia – quella, per intendersi, che cominciò i propri lavori nel 1962 e li concluse nel 1976 – ci sono tanti spunti poco valorizzati. E lo stesso discorso vale per le indagini su di lui e sul suo sistema di potere sviluppate dai magistrati di Palermo negli anni ‘80.
Con molta probabilità, Vito Ciancimino è la chiave dii volta di tanti segreti siciliani e non soltanto siciliani. Una lunga stagione che comincia nel 1943, quando un allora giovanissimo Vito Ciancimino diventa l’interprete del colonnello Charles Poletti (nella foto a destra), massone di rango, capo dell’amministrazione militare alleata in Sicilia dal luglio del 1943 al febbraio del 1944, poi governatore di New York. Tra i segreti che Ciancimino si è portati nella tomba non è da escludere che ci sia anche la trattativa tra mafia e Stato andata in scena ra il 1992 e il 1993. Se questa trattativa ha avuto, come sembra, una risposta politica, deve avere avuto interlocutori politici. Su questo non ci piove.

 

 

 

Giulio Ambrosetti

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