Maniaci denuncia i carabinieri di Partinico «Atto dovuto contro il loro abuso di potere»

Pino Maniaci ha presentato nei giorni scorsi alla questura di Palermo una denuncia-querela contro i carabinieri di Partinico, colpevoli secondo il direttore di Telejato di aver montato in maniera subdola il video-accusa diffuso attraverso i media contenente gli stralci delle intercettazioni relative all’operazione Kelevra, che lo vede coinvolto. «Lo reputo un atto dovuto, dato l’abuso di potere esercitato dai carabinieri. Sono state pubblicate – spiega Maniaci – conversazioni private che nulla hanno a che vedere con il procedimento penale. Mi chiedo a che pro» si interroga il giornalista di Partinico, che invita a riflettere su quali potrebbero essere i reali motivi dietro un montaggio così particolareggiato. «Di circa otto minuti di video, solo uno riguarda la presunta estorsione. Tutto il resto sono cose personali». Secondo Maniaci nel video sarebbe finita dentro anche la donna ritenuta sua amante, che presenterà a sua volta una denuncia per violazione della privacy.

«Io ho una mia teoria» continua il giornalista, che subito spiega: «Penso di trovarmi in questi guai perché tramite Telejato ho deciso di parlare della sezione Misure di prevenzione e della giudice Saguto. Insomma, abbiamo toccato un pezzo del tribunale e oggi ne sto pagando le conseguenze». Maniaci non può fare a meno di citare alcune conversazioni, intercettate durante le indagini svolte dalla Procura di Caltanissetta, fra l’ex prefetta Francesca Cannizzo e proprio la giudice Silvana Saguto, dove la prima chiede «Che tempi abbiamo?» e la seconda risponde «Quello lì ha le ore contate», in riferimento allo stesso Pino Maniaci finito al centro di un’indagine da parte della Procura di Palermo. Maniaci porta avanti i suoi interrogativi: «Chi ha detto a Saguto che c’era un’inchiesta su di me e perché io andavo bloccato immediatamente? Per non parlare più della sezione Misure di prevenzione? Credo siano domande lecite».

Non risparmia nemmeno i colleghi giornalisti che, secondo lui, lo avrebbero mediaticamente crocifisso, ripudiandolo come personaggio antimafia: «Io non mi sono mai definito così. Questa virulenza da parte loro penso dipenda dal fatto di averli sempre definiti dei leccaculo al servizio della politica. Pino Maniaci – prosegue l’uomo parlando di sé – fa semplicemente il lavoro che dovrebbero fare tutti». Resta convinto, quindi, di pagare adesso un prezzo per il fatto di aver parlato di magistrati corrotti. E che i colleghi delle altre testate non siano dalla sua parte per via del modo diverso di Telejato di fare giornalismo, distante dai metodi di quelli che Maniaci definisce «questurini abituati a stare dietro le porte della Procura in attesa di qualche scoop».

Commenta anche la notizia recente della richiesta di archiviazione dell’inchiesta sul generale dell’Arma Antonio Subranni, accusato di favoreggiamento per i presunti depistaggi sulla morte di Peppino Impastato: «Alla luce di questi fatti non posso non chiedermi se l’Italia sia un Paese normale». Maniaci conclude riferendosi alla nuova inchiesta che sta conducendo con Telejato, quella su un altro pezzo del tribunale di Palermo, la sezione Fallimentare: «Lì il verminaio è anche più grande di quello trovato per le Misure di prevenzione» spiega senza peli sulla lingua, com’è nel suo stile. «Guai a dire che un magistrato è corrotto. Perché ce ne sono altri otto mila pronti a proteggerlo. Non a caso Walter Virga – amministratore giudiziario sotto inchiesta – dice in un’intercettazione “cane non mangia cane”». 

Silvia Buffa

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