Piogge eccezionali e venti freddi, un mix che nel mese di giugno ha messo in ginocchio l’agricoltura nel Palermitano, che ora si trova a dover fare i conti con gli ingenti danni prodotti dal maltempo. Un mese, quello appena concluso, «piuttosto straordinario» da un punto di vista climatico più che per la quantità, per la persistenza dei fenomeni temporaleschi, ben superiori alle medie stagionali. Un avvenimento inusuale per il periodo che, se da un lato ha prodotto benefici da un punto vista dell’approvvigionamento idrico, allontanando in parte lo spauracchio siccità evocato nei primi mesi dell’anno, ha arrecato però notevoli danni al raccolto. Soprattutto nel comparto cerealicolo e, in particolar modo, sulle Madonie.
«Nell’ultimo mese si è verificata una discesa di aria fredda dalle alte latitudini piuttosto insistente – conferma Luigi Pasotti, dirigente regionale dell’unità operativa climatologia dell’Osservatorio Acque – Non una normale fase di tipici temporali estivi, ma una vera e propria perturbazione per una circolazione depressionaria sul Tirreno, con una persistenza di diversi giorni consecutivi di precipitazioni e con una notevole copertura nuvolosa». Nel Palermitano si sono registrati mediamente dai sei agli otto giorni di pioggia, un dato «sicuramente al di fuori della norma» visto che nello stesso periodo la media è sta sempre di gran lunga inferiore (uno-due al massimo). «Un fenomeno aggravato non solo dalla frequenza, ma anche dalle quantità notevole di acqua caduta, mediamente quattro-cinque volte superiore a quella che si vede nel mese di giugno» sottolinea Pasotti.
Il danno al comparto agricolo è stato generato soprattutto dalle condizioni di insistenza di bagnato nei campi. A pagarne il prezzo più alto i territori dove la mietitura, rispetto al resto dell’Isola, è più tardiva, come nelle aree interne della provincia e in particolare sulle Madonie. In questa zona, ad esempio, ad Alia, Polizzi Generosa e Petralia ci sono stati dai sei ai sette giorni di poggia, un evento raro che ha creato ammuffimenti sul frumento e persino la germinazione dei chicchi di grano, come conferma anche Coldiretti che annuncia un vero bollettino di guerra. «Le Madonie, rispetto agli altri territori, sono state danneggiate maggiormente perché qui non è ancora iniziata la trebbiatura, con una perdita consistente di circa il 70-80 per cento della produzione in termini soprattutto qualitativi», rivela Maria Barreca responsabile per la provincia di Palermo di Donne imprese Coldiretti.
Con una distinzione tra grani antichi e cereali di selezione moderna: «Questi ultimi hanno un stelo più corto e, nonostante le precipitazioni abbondanti, risentono meno del maltempo mentre quelli antichi, coltivati in buona quantità nei nostri territori, hanno uno stelo più lungo e, spinti dal vento e dall’acqua, finiscono a terra. Così i grani raccolti quest’anno saranno più scadenti rispetto al passato, e probabilmente destinati alla produzione zootecnica». Da buttare, inoltre, la produzione del foraggio: il fieno, totalmente inzuppato nelle zone di montagna, non si potrà raccogliere.
Tuttavia, le piogge abbondantissime nel mese di giugno non hanno prodotto grandi variazioni negli invasi ma hanno ritardato gli utilizzi in agricoltura, guadagnando circa 15-20 giorni di stagione senza bisogno di irrigare. Così, se a fine gennaio la situazione era drammatica, poi per fortuna i temporali nei mesi di febbraio e marzo, hanno riportato gli invasi nel Palermitano a ottimi livelli per lo Scanzano e il Poma, (rispettivamente al 71,04 e 68,62 per cento del massimo volume, secondo l’ultima rilevazione del 12 giugno compiuta dall’Amap). Un po’ di meno ne hanno beneficiato Piana degli Albanesi e Rosamarina (rispettivamente al 35,80 e 38,70 per cento). «Sicuramente tutto il sistema idropotabile del Palermitano è uscito dall’emergenza, e le riserve presenti consentono di non aver problemi fino all’inizio del 2019 – scommette Pasotti – Tutto sommato, considerando che queste rovesci hanno portato un contributo insperato, ci troviamo in condizioni analoghe se non migliori rispetto a quelle dell’anno scorso. Questo, chiaramente, nell’ipotesi che le precipitazioni in autunno riprenderanno a cadere secondo un andamento normale».
Un’amara consolazione per gli agricoltori che possono dire addio a buona parte della produzione e confidare soltanto in un ristoro da parte della Regione. I dati sui giorni di pioggia forniti dall’unità operativa climatologia dell’Osservatorio Acque suffragano l’ipotesi di danni di una certa rilevanza al raccolto. In questo caso, non dovrebbe essere problematico per gli agricoltori dimostrare al ministero per l’Agricoltura le perdite prodotte da un’anomalia climatica notevole, anche se la strada appare in salita: «Per quanto riguarda i cereali è complicato domandare risarcimento perché si tratta di colture che si possono assicurare – spiega Barreca -, benché in realtà l’indennizzo viene previsto solo per danni arrecati da fuoco e incendio. Ma questa volta abbiamo avuto uno stato di calamità provocato da diluvi torrenziali. So che già alcuni territori si sono mossi per richiedere un risarcimento alla Regione per calamità naturali – aggiunge – e penso che noi ci adegueremo».
Ma dopo la piaga dovuta al maltempo, ora per gli agricoltori si prospetta l’incubo incendi, che l’anno scorso ha mandato in fumo il lavoro di mesi. Già i primi focolai, dovuti probabilmente all’azione criminale dell’uomo, si sono verificati, anche nel Palermitano, a Caltavuturo. La Coldiretti da tempo chiede l’intervento della Regione per evitare che ci siano altri disastri, come quello dello scorso anno. «Purtroppo oltre al piano prevenzione incendi, che si dimostra inefficace, riscontriamo sempre meno controlli su lterritorio – sottolinea Francesco Ferreri, presidente Coldiretti Sicilia – Ma il problema del controllo del territorio non si limita a queste azioni. Su questa problematica va fatta un’attenta riflessione, anche perché alle difficoltà di mercato e climatiche non si posso sommare altri problemi che riguardano il controllo del territorio, oltre la viabilità. Inoltre le maggiori difficoltà le riscontriamo sempre nelle aree rurali e più isolate, ma il rischio di perdere l’agricoltura di determinate zone sarebbe un disastro perché avremo perso la nostra biodiversità e le nostre tradizioni» conclude.
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